L’eleganza di Nneka passa incolume attraverso un bollente pomeriggio estivo, quando Roma esplode di gradi centigradi e ogni soffio di vento caldo sembra dare refrigerio. Nella location dell’Eutropia Festival, la cantautrice di origine nigeriana ha portato le atmosfere dolci e aspre al tempo stesso del suo ultimo lavoro in studio, “My Fairy Tales”, un bell’album dalle sonorità interessanti e dai testi particolarmente intensi. L’abbiamo intervistata in occasione del concerto di luglio nella Capitale e la lunga chiacchierata è stata una piacevole passeggiata in compagnia attraverso temi sociali, musicali e idee politiche.
Ogni tanto spieghi le parole delle tue canzoni al pubblico dei tuoi concerti. Come mai questa scelta?
Non spiego ogni canzone, cerco di collegarmi con il pubblico e fargli capire a cosa mi stia riferendo, cosa mi abbia motivato a scrivere e a fare quello che faccio. Per me è importante condividere quello che faccio con le persone.
Come mai hai deciso di cantare in inglese e non nella tua lingua nativa, o in tedesco?
Il tedesco non è la mia lingua madre, l’ho imparato quando mi sono trasferita ad Amburgo. La lingua ufficiale della Nigeria è l’inglese. Io mescolo elementi africani, ogni tanto, ma mi viene naturale parlare in inglese, o cantare in inglese, e mischiarlo al mio dialetto. Qualche volta è importante cantare in una lingua che è comprensibile da più persone.
Con chi vorresti lavorare? E con chi avere una collaborazione dal vivo?
Ci sono molti artisti… Lavorerei con molte persone, ma adesso.. Non saprei! Finché riesco a stare nel business della musica, mi sentirò bene a portare persone e artisti sul palco, soprattutto persone che non sono famose, per sostenerle.
Sei tipo una talent scout?
Sì, esatto, è molto importante “connettersi” con le persone.
C’è qualche canzone di altri artisti che vorresti aver scritto tu?
Ce ne sono molte! Vorrei avere scritto un pezzo di Randy Crawford, si chiama “Everything Must Change”. Poi mi piace una canzone di James Brown, “It’s a Man’s Man’s World”, e mi piacerebbe cantarla in un altro modo. Potrei farne una cover… Ci sono altre canzoni, come “Suffering and Smiling” di Fela (Kuti).
Perché hai sentito l’urgenza di riassumere le tue idee su politica, società e musica in un album come “My Fairy Tales”?
La prima cosa che muove la mia musica è l’esperienza, quel che vedo e quel che vivo, sia a casa sia intorno al mondo. È molto naturale. Deve esserci qualche tipo di dolore, di sentimento, per scrivere. Molte persone lì fuori, bambini e adolescenti che ascoltano, usano la mia musica per raccontarsi. Mi sento responsabile nel dare a queste persone non robaccia superficiale, ma una parte di me che sento di voler diventare. Voglio quello che il mondo vuole, in modo positivo. Se è possibile, perché non farlo? Non penso molto quando scrivo, non è che mi metta lì a pensare “adesso scrivo questo pezzo”, succede naturalmente e se non succede, pazienza.
Quindi credi che le persone possano passare per un cambiamento grazie a un discorso culturale e non alla “plastica” moderna? Non ti chiedo che tu debba essere la salvatrice del mondo, eh!
(ride) A volte quando vedi il mondo devi uscire a vedere te stesso. La musica è auto-medicina. Quello che credo è che le interazioni, le relazioni tra persone, siano importanti ma non puoi abbandonare te stesso. Una personalità “sconnessa” porta alla paura e alla corruzione. La personalità è quello di cui abbiamo bisogno, dobbiamo dare una direzione alle nostre energie e frequenze: non puoi essere egoista, tanto moriamo tutti alla fine! La cosa migliore è capire che siamo tutti uniti in un’energia e che è bellissimo condividerla. Perché dovresti vivere in modo egoista? È bello viaggiare e avere soldi, certo, ma quel che vedo è che siamo tutti parte del capitalismo. La paura di perdersi porta all’ego, l’ego al potere.
Tornando alla musica, anche se di questi argomenti parlerei per ore, quali sono gli artisti che hanno ispirato il tuo ultimo disco e la tua musica in generale? Sento qualcosa tipo “What’s Going On” di Marvin Gaye, un concept album su argomenti sociali e politici..
Quando l’ho scritto ero da sola, molto sola. Ho amici, eh, però in quel momento ero sola. Andavo a passeggiare per conto mio, mi sedevo di fronte alle chiese a pensare come le cose fossero cambiate su questa terra. Ci sono molte cose che le persone non notano più, stavo cercando una nuova prospettiva come Gordon Parks, un fotografo che era molto attivo ai tempi dell’oppressione verso i neri negli Stati Uniti. Ho guardato le sue foto, e alcune opere di Basquiat. Io uso molta ironia e sarcasmo, li metto insieme con ispirazioni come Bob Marley, Fela Kuti… metto insieme queste leggende.
Hai detto che usi molto l’ironia. È quella che ti aiuta a superare e lottare meglio su argomenti come razzismo, sessismo, che sono temi portanti di questo disco?
Non li supero facilmente, sono argomenti seri. Pensa, in Nigeria le cose più serie possono sembrare uno scherzo. Il dolore ha bisogno del sorriso, come dice Fela Kuti. Immagina una situazione dove hai degli autobus pieni di persone, perché non possono permettersi una macchina propria, e sono strette come sardine. È divertente vederle così inscatolati, è un’associazione buffa. Ti aiuta a sorridere di una situazione difficile, certo in quel momento non è divertente… Ma se sei razzista verso di me, io sarò gentile con te e te lo farò capire che non mi piace come sei con me. Per quanto riguarda il sessismo… Parliamo di abusi? Non mi tengo dentro un c*zzo di tutto quello che penso, te lo dico direttamente in faccia! Dobbiamo essere intelligenti, prima di tutto, pensare e poi farci avanti per i nostri diritti.