Partiamo da una delle poche certezze della vita: mettete Dave Gahan da solo su un palco, illuminato da un semplice fascio di luce e fatelo dimenare come solo lui sa fare, e basterà quello per tenere in pugno il pubblico. Ma durante l’unica data italiana del tour con i Soulsavers che ha toccato il Fabrique di Milano il 4 novembre 2015, il carismatico frontman ha fatto molto di più. Gli animali da palcoscenico come lui sono davvero pochi, e anzi, forse perché in questo momento chi scrive è ancora vittima del fascino magnetico di questo splendido cinquantatreenne, non me ne viene in mente nessun altro. E dire che mi sto sforzando parecchio per spremermi qualche nome. La veste da crooner sta stretta a Gahan, tanto che già durante il terzo pezzo in scaletta la giacca ingessata sparisce lasciando spazio a una camicia nera sbottonata fino a metà petto, ma la dimensione intima da club si sposa alla perfezione con l’anima nuda e il cuore aperto dei pezzi blues e gospel estratti da “Angels & Ghosts”, la nuova fatica del duo di produttori e musicisti inglesi in collaborazione con la voce dei Depeche Mode.
Dieci elementi (compreso Gahan) affollano il palco del Fabrique, due terzi dei quali imbracciano una chitarra: ovvio che la sei corde, in tutte le sue declinazioni, è un’altra protagonista della serata. Il tutto circondato da una morbida tenda che assume colorazioni diverse a seconda delle luci della ribalta, e che funge da efficace sfondo ai mille ammiccamenti teatrali ma mai forzati di Gahan, che fa impazzire l’ormone di tutta la parte femminile del pubblico buttandosi in pasto alla folla in estasi senza alcun pudore. Venendo alla scaletta, i pezzi più nuovi si alternano con fluidità ai brani meno recenti estratti dall’album del 2012 “The Light the Dead See”. Splendida e malinconica all’ennesima potenza “Tonight”, durante la quale il vocalist suona pure l’armonica. Tra i brani di “Angels & Ghosts”, “Don’t Cry” è stato uno degli episodi migliori: se quella voce ti dice di non piangere e che tutto andrà per il meglio non puoi far altro che crederci. Brevissimo pit-stop e la band ritorna per quattro encore, con una versione di “Kingdom” (singolo electro dark tratto dal repertorio solista di Gahan) in salsa Soulsavers. Poi finalmente si balla con “Dirty Sticky Floors” e ciliegina sulla torta, si chiude alla grande con le cover dei Depeche Mode “Condemnation” e “Walking In My Shoes”.
C’è chi può obiettare che settantacinque minuti di concerto siano davvero pochi (io per prima avrei voluto che continuasse per altre cinque ore o giù di lì) ma d’altronde, Gahan e i Soulsavers hanno sfornato per il momento solo un paio di dischi, quindi non ci si può aspettare chissà quali maratone musicali. Sta di fatto che se la serata ha fatto da tempo il tutto esaurito un motivo c’è. Chi ha avuto la fortuna di esserci ha assistito a un concerto con i controfiocchi, e all’ulteriore riprova che Gahan è una delle icone più irresistibili e trasversali dei nostri tempi.