Un disco da sei meno, quello di Ben Ottewell. Di quelli da “Il ragazzo si impegna, ma potrebbe fare di più”, considerando soprattutto la sua militanza nei Gomez, un collettivone a più voci e dalle molteplici influenze che ha sempre avuto dalla sua una grande originalità.
Il punto è probabile che stia proprio qui, nel solista che perde la forza se non supportato dalla band, con tutti gli annessi e connessi pericoli del poter essere, finalmente, liberi di fare solamente quello che si vuole, senza le censure che il lavoro di gruppo comporta.
A Ben Ottewell piacciono Nick Drake, Paul Simon e Springsteen, oltre che l’Eddie Vedder più maturo: questo è quello che ci comunica ogni traccia di “Shapes And Shadows”, questo e poco altro. Se c’è una cosa che manca, qui, è lo spessore, o la grinta, se vi piace chiamarla così: nove tracce in cui le dinamiche sono quasi tutte appiattite da arrangiamenti banali e rifiniture sulla voce distantissime dall’imprecisione rabbiosa che lo caratterizzava nei dischi dei Gomez. Nove tracce il cui picco emozionale è “Chose”, comunque distante dall’essere coinvolgente ma nella quale, almeno per un po’, sembra che si respiri un’aria diversa, dove la malinconia smette di essere mezzo di espressione e diventa risultato finale.
Non si può dire che i pezzi siano brutti, sono, semplicemente, il minimo sindacale, un atto d’amore al cantautorato statunitense che è scritto benissimo, con il giusto intuito per la melodia accattivante e tutto il resto, ma comunque terribilmente sotto il livello al quale ci eravamo abituati.
Francesca Stella Riva