“Call It What It Is” non è l’ennesimo album di Ben Harper, è un ritorno. Tecnicamente sarebbe una reunion, questa parola sempre più spesso pronunciata. In questo caso però forse possiamo accantonarla, lasciarla ad altri lidi, di concerti sold out e poster patinati. Meglio parlare di ritorno, sì. Come di un esule che ritrova casa, quel posto dove si dice siano costretti ad accoglierti, non importa cosa tu sia diventato o cosa tu abbia fatto.
Sono passati dieci anni da quando Ben ha salutato la sua band di sempre, gli Innocent Criminals (che nome stupendo) e ha intrapreso un cammino di sperimentazione, di sovrapproduzione, album su album, con ospiti vari, dalla mamma a gruppi gospel di non vedenti, a band rock emerse e di pari andatura ritornate nell’abisso. Tutti questi elementi hanno spezzettato in mille frammenti l’immenso talento del cantante statunitense che ha nelle sue radici tantissime culture, tantissime minoranze che urlano la propria presenza al mondo e nella storia. Questa miscela ha costruito un artista unico e inarrestabile, che nella sua carriera è stato sempre supportato alla perfezione da questo immenso gruppo di musicisti che hanno dato un loro timbro alle creazioni musicali sia in studio che live, sia nelle sue galoppate politiche e sociali, nella rabbia e nella soavità sentimentale di profondissima delicatezza. Tutti i fan di Ben Harper si sono sentiti orfani degli Innocent Criminals e quando l’anno scorso il figliol prodigo è tornato alla base con un tour che ha ripercorso tutta la loro carriera musicale, i sorrisi si sono moltiplicati.
Ed eccolo: “Call It What It Is”. Quasi a dire “basta tergiversare, si torna a parlare chiaro“. Si parte con “When Sex Whas Dirty”, dove la nostalgia si adagia su un refrain leggero e ritmato, che rimane in testa ancora molto dopo che le ultime note della canzone sono uscite dalle cuffie e hanno raggiunto la stratosfera. La title-track riprende i temi degli esordi, di denuncia razziale. Chiamalo per quello che è: omicidio. Riferito agli abusi dei poliziotti sulla gente di colore, un tema molto caldo negli Stati Uniti, che dimostra come, anche se il tempo sembra passare e andare avanti, in realtà non è altro che un volto riflesso nell’acqua. E così la musica, perché questo album sono Ben Harper e gli Innocent Criminals che suonano se stessi, si omaggiano. E, onestamente, perché non dovrebbero? Sono stati via tanto tempo e hanno lasciato un vuoto che devono riempire. Si torna alla delicatezza come solo loro sanno fare ed è in “How Dark Is Gone”, e nella ballata “Shine”, che viene fuori.
Il blues e la slide, e quasi ti pare di vederlo Ben, chiudendo gli occhi, seduto con lo sguardo rivolto alle sue ginocchia e alla chitarra adagiata su di esse, a suonarla come se fosse il piano più strano del mondo, un piano con le corde esposte. “All That Has Grown” è un inno gospel al positivo della vita, quel “dopo la tempesta nasce sempre qualcosa“. Delicata. Il singolo e il suo giro di chitarra è decisamente noto, ha solcato l’advertisement televisivo, “Pink Baloon”, che pur essendo un motivo potente che volente o nolente rimane in testa, meglio sospendere il giudizio sulla sua effettiva caratura musicale. Si fa notare, come una persona vestita in maniera eccessiva e grottesca, di cui ricorderai una volta che è uscita dal locale, ma non sai bene che giudizio dare, ma non sai se questo è positivo o meno. Passiamo avanti.
Altri territori ritrovati, con una foto ricordo in mano, in “Finding Our Way”, che ricorda la poesia raggae di “Whit My Own Two Hands” che apriva quel capolavoro di “Diamonds on The Inside”. “Bones” ha atmosfere alla Marvin Gaye, la sdolcinatezza sensuale che Ben è in grado di rendere in maniera egregia e se non ci credete andate a rispolverare la sua cover di “Sexual Healing” in “Live on Mars” del 2001. Una bellissima ballata anche “Dance Like Fire”, acustica, che richiama le atmosfere di “Burn To Shine”, dove Ben invita a ballare con il fuoco e promette che non ci bruceremo. La famiglia ritrovata ci lascia con un pezzo struggente che parla di addii, dove una voce quasi eterea racconta della difficoltà di lasciare, di chiudere, di togliersi la polvere del passato da sotto le scarpe. “I don’t know how to say goodbye to you”, e con il groppo in gola il nuovo album di Ben Harper e della sua straordinaria band ci lascia e noi dobbiamo riascoltare, da capo, perché proprio non sappiamo come staccarci dalla sua musica.