Sull’essenza di questa band si potrebbe discorrere per ore, in definitiva, però, parrebbe lecito concludere che il suo apporto al mondo della musica è pari a quello del tricheco spalmato sulla crapa del fisarmonicista in una serata dai climi decisamente diversi da quelli della tundra finlandese, da dove provengono: accessorio. E c’è da dire che i ragazzi sembrano del tutto coscienti della natura tautologica della loro impresa musicale, tanto da decidere di coverizzare persino il nome della band: Steve’n’Seagulls.
È inconfutabile, poi, che nei capolavori del hard rock e dell’heavy metal estratti dal loro disco d’esordio del 2015, “Farm Machine”, e portati live al Magnolia di Milano lunedì 23 maggio 2016, non ci sia una virgola da cambiare. Con i cinque vichinghi sul palco ci si diverte, però, e alla grande anche, perché quello che aleggia tra palco e parterre è puro spirito goliardico. Dopo un attacco misurato con “Wishmaster” dei Nightwish e “Paradise City” dei G’n’R, la dichiarazione di guerra arriva con la versione tesissima di “The Trooper” degli Iron Maiden. L’energia è quella di un concerto metal, il sound, invece, bluegrass, nel solco della migliore tradizione hillbilly.
Contrabbasso, batteria, banjo, chitarra acustica, mandolino, fisarmonica, kantele (strumento a corde finlandese) e voci, gli Steve’n’Seagulls se la viaggiano tra il thrash metal di “Symphony of Destruction” dei Megadeth, giù fino all’oscurità di “Ich Will” dei Rammstein. Sorrisoni su tutte le facce nel parterre, la simpatia di questi ragazzoni rubati all’agricoltura è contagiosa e, benché sia difficile scacciare dalla mente l’idea che quello che sta avvenendo sul palco lascerà esattamente il tempo che ha trovato, le cover di “Holy Diver” dei Dio e “Cemetery Gates” dei Pantera, nel loro tripudio di cazzonaggine, sembrano quasi avere un senso.
Ah, ma il meglio ha da venire. “You Shook Me All Night Long” degli AC/DC, seguita da “Black Dog” dei Led Zeppelin e da “Seek and Destroy” dei Metallica, sollevano parecchia polvere nel parterre. Si zampetta sospinti dalle raffiche di sedicesimi suonati veloci, fino al momento riflessivo, che ci deve essere in ogni concerto che si rispetti, quindi anche in questo, agevolato da una sentitissima “Nothing Else Matters” dei Metallica, seguita da “Iron Man” dei Black Sabbath, tra i brani più convincenti in scaletta, nonché dal cavallo di battaglia del quintetto finlandese, “Thunderstruck”, sempre degli AC/DC, bombetta al fulmicotone sparata in chiusura del set.
Escono, ma la folla li rivuole sul palco, la birra in corpo (in senso figurato e non) è ancora troppa per tornarsene a casa, anche calcolando che il concerto è iniziato con un ritardo di un’ora e mezza sulla tabella di marcia. Tornata sul palco, la band concede al parterre scalpitante un ultimo pezzo, “Born to Be Wild” degli Steppenwolf, che vede il gigantesco fisarmonicista della band (quello con la marmotta in testa) prodursi in un aggraziato solo di flauto traverso, a mo’ di ninfa boschereccia, una chiosa di tutto rispetto ad un concerto da ascrivere alla più nobile categoria del nonsense.