La sperimentazione non è certo l’elemento mancante nella carriera dei Trail of Dead, i quali, ormai rimasti al nucleare numero di due, intesi quali soggetti fondanti e core member della formazione, arrivati alla release numero 7 non perdono lo smalto degli inizi, e perseverano su quella linea che già 12 anni fa fece drizzare le orecchie ai critici.
Per rintracciare le loro origini, la band ha assoldato quale produttore una conoscenza di lunga data, Chris “Frenchie” Smith, il quale, scavando tra le primarie influenze della band (Pink Floyd, Rush, Yes, Neu!) ha pensato bene di rinvigorire ulteriormente la forza e l’impatto esecutivo di ogni singola traccia, anche se è cosa nota: i Trail of Dead sono animali da palco, dove la loro più genuina vena espressiva si materializza, (e dematerializza, vedere un live degli stessi per comprendere il più evidente senso di “destroying” n.d.a.) mentre le realizzazioni in studio peccano sempre di una venatura fin troppo algida.
Solo 10 giorni di registrazione dedicati dal duo di Austin per la definitiva stesura di “Tao of the Dead”, che si articola in due parti ben distinte, caratterizzate da un’accordatura completamente diversa delle chitarre, per la prima parte in D per la seconda in F. Tale lettura è però solo una delle due possibili, in quanto sarebbe ben praticabile l’ipotesi di considerare tale album come un’unica composizione di 16 pezzi, dove la “parte II” si ri-articola al suo interno in 5 pezzi distinti, che però sono e suonano come un unicum creando un ascolto in continuum, tipico di composizioni orchestrali.
Francesco Casati