MEI più? Sarebbe un peccato

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Per la prima volta sono stato al MEI (la pagina Wiki avrebbe bisogno di una rinfrescatina…). Uno dice: e sti cazzi? Vero. Potevo anche andarci prima quando, come in molti mi hanno detto, “Le cose andavano decisamente meglio”. Tuttavia “al MEI ci si va solo se si ha qualcuno che suona o qualcosa da promuovere”, secondo altri. La sensazione di essere nel posto (forse) giusto al momento sbagliato è accentuata dal mantra ripetuto più volte da Giordano Sangiorgi: “Con questa edizione concludiamo il primo ciclo di vita del MEI arrivando ai vent’anni”. Ok. Ammetto che personalmente ero a Faenza per altri motivi. Che andavano oltre la musica emergente del MEI stesso o del bravissimo Daniele Silvestri live in piazza.

Ero giù perché era stata organizzata una cosa che mai era stata fatta prima. E ci saranno anche dei motivi se non era mai stata fatta, certo. Ma intanto gli stati generali del giornalismo musicale erano una giustificazione massima per farsi la vasca fino a Faenza. Non per nulla, anche il MEI stesso voleva trarre da questa iniziativa delle riflessioni (se non delle proposte) per capire se e come proseguire l’avventura, impostando un percorso anche diverso, se necessario.

Si comincia sabato 24 settembre al pomeriggio, con delle tavole rotonde tematiche in cui i vari giornalisti che hanno aderito si sono distribuiti seguendo le dritte fornite dall’ottimo Enrico Deregibus. Nel dettaglio, quello dove stavo io, aveva come tema qualcosa di simile a “Vivere di giornalismo musicale. O quanto meno sopravvivere“. Saggiamente, questa non era una domanda a cui rispondere. Fosse stato così, il tavolo sarebbe durato meno di due secondi. Tempo di dire “No” e andare al bar a sfondarsi di amari.

In realtà, partendo dal contributo indispensabile fornito alla discussione da Federico Guglielmi, si è sviluppato un dibattito molto interessante, che si è progressivamente allargato dopo il corso di aggiornamento professionale di domenica mattina. Per quanto sia impossibile riassumere tutto quanto detto in modo troppo dettagliato (se vi interessava saperlo venivate giù), potrebbe essere utile fissare alcuni punti che, chi per primo milita in questo settore o vorrebbe nel breve provare a farlo, deve obbligatoriamente considerare nel 2016.

Dire le cose come stanno
Da fuori, il mestiere del giornalista musicale è una delle cose più belle del mondo. Quasi quanto il pornodivo. O l’ereditiero. Non dirò lo statale per evitare luoghi comuni. Da dentro è un mestiere con pro e contro come qualsiasi altro al mondo. Non è più il mondo dorato di anche solo quindici anni fa. Non lo è forse mai stato dicono i più esperti. In realtà, viste le condizioni di lavoro della società e dell’economia di oggi, le possibilità che un ventenne sia oggi assunto in una rivista cartacea dedicata alla musica (cosa che accadeva davvero negli anni settanta e ottanta) sono pari allo 0,01%. La verità è che questo, oggi (e forse pure prima), è prevalentemente diventato un mestiere per mantenuti. O comunque per chi, una volta deciso di buttarsi nel mondo del giornalismo musicale, sia in grado di accantonare un gruzzolo che gli permetterà di vivere senza entrate per almeno due o tre anni. Se va bene, visto che quando le entrate arriveranno, non saranno esattamente elevate. Inoltre tocca anche fare i conti con una classe imprenditoriale che non ha lasciato esempi memorabili in questo campo. Basti pensare all’elenco colossale di testate musicali gloriose passate a miglior vita all’indomani del taglio dei contributi pubblici. Per quanto possiamo raccontarcela tra di noi, ora come ora è molto meglio essere onesti e tracciare un quadro apocalittico (questo termine è uno di quelli emersi al tavolo di discussione di cui sopra tra l’altro) della situazione perché è esattamente tale.

>> Editoria Musicale Online: a che punto siamo?

Essere il cambiamento
Bisogna essere professionali. Preparati. Credibili. Puntuali. Coraggiosi. Forse non basterà nemmeno essere tutto questo per trovare (dopo i due/tre anni di cui sopra) un posto in una delle (poche) testate cartacee dedicate alla musica o in una delle testate digitali (altrettanto poche) che monetizzano le proprie visite e pagano in qualche modo i collaboratori (non solo con i dischi e i pass). Servirà sapersi adattare alle situazioni, aggiornarsi di continuo, saper usare photoshop per dare le foto giuste a chi impaginerà il vostro pezzo, conoscere i cms più diffusi, saper muoversi sui social network, accettare di parlare di musica spietatamente commerciale priva di alcuna velleità artistica, e anche capire che se caricate un file .bmp WordPress collasserà. Insomma dovrete essere il cambiamento. Cambiare una mentalità come quella dei giornalisti che non ha mai accettato le novità, i gusti del pubblico, le tendenze del mercato e i nuovi standard. Ovvio, se avete così tanti soldi da potervi permettere di non parlare del successo della ultima hit di classifica sul vostro blog per aumentare le visite, oppure ritenete che il mondo del web (vi giuro, ho sentito ancora la classica cazzata su come il web abbia rovinato tutto, detta tra l’altro non da un vegliardo ma da gente più giovane di me) sia vostro nemico, potete rimanere al bar a farvi di amari.

Conoscere il mercato e il digital
Una delle cose che più mi ha sconcertato durante questa breve due giorni, è la superficialità con cui sia stato analizzato il contesto in cui, teoricamente, staremmo lavorando. Gli appassionati veri di musica in Italia (quelli che comprano qualche disco, o una rivista ogni tanto, o ancora che vanno a più di due/tre concerti all’anno) sono a malapena 100mila. La musica è sempre di più un bene di consumo fugace ed estemporaneo. I grossi raduni di pubblico non riguardano più soltanto il tour di Vasco o il Monsters Of Rock di turno, ma eventi di dance, dj set e concerti in cui basi e playback la fanno da padrone. Nonostante questo, i concerti vanno sold-out in men che non si dica. Grosse aziende investono per avere delle sezioni dedicate alla musica sui propri siti istituzionali, o ancora per essere fisicamente presenti agli show stessi. Vengono richiesti piani di comunicazione dedicati e si cercano live da sponsorizzare. Insomma il mercato può esserci davvero. L’importante è capire (e accettare) che il mondo è cambiato. E sebbene l’amarcord e le ristampe mantengano in vita in qualche modo le etichette, serve mettersi via il fatto che per quanto sia bellissimo leggere ventimila battute dedicate alla discografia degli Who su un giornale comprato da 6/7mila persone una volta al mese, un articolo da 120 parole che contenga la scaletta del loro concerto a Bologna fa più 10.000 visite in un paio d’ore (le foto di un live di Benji & Fede per esempio le fanno in mezz’ora, un loro video in un minuto a rimanere bassi). Informazioni immediate. Live o comunque che rispondano all’esigenza di un momento specifico. Gratis tra l’altro (e che incontrino l’interesse di un pubblico che non è mai stato particolarmente interessato alla Musica). Inutile lamentarsi, il contesto è questo. Ignorarlo oppure ostentare una superiorità morale e intellettuale, gioverà sicuramente al nostro ego e a chi ci ascolta. Molto meno a chi vuole lavorare in questo settore.

Rivendicare un’identità
Ritenere ogni sito che parli di musica una testata giornalistica, o che ogni fan possa essere un direttore, o un caporedattore di non si sa bene cosa, è una cazzata. Sebbene sia innegabile che alla fine comandino il fatturato e i numeri di Analytics, è compito di chi si reputa un giornalista musicale fare in modo che si formi un’identità condivisa, volta a ristabilire le differenze tra passatempo e mestiere vero e proprio, per creare un movimento che favorisca il confronto e che permetta a ognuno di noi di imparare dai più skillati, mettendo a propria volta a disposizione le proprie capacità per chiunque voglia seriamente avvicinarsi a un mestiere del genere. La consapevolezza di operare in un mondo complicatissimo e in cui è difficile sopravvivere, in cui chiunque possa ascoltare qualsiasi canzone con un paio di click, non deve annullare la necessità di analizzare, sviscerare, spiegare (parlandone e scrivendone) la colonna sonora che fa da sfondo alle nostre esistenze a chi pensa che questa sia tutto tranne che la forma d’arte popolare per antonomasia.

In conclusione, è giusto pubblicare parte del comunicato stampa conclusivo (adattato, perché giusto per tornare a uno dei punti di cui sopra, è formattato a caso) dell’edizione 2016 del MEI. Non è andata poi così male. Anzi.
Si conclude con il botto la ventesima edizione del MEI, quella che chiude definitivamente un ciclo sulla più importante manifestazione di musica indipendente ed emergente italiana, con una partecipazione straordinaria di
pubblico da tutta Italia che ha riempito Piazza del Popolo, il Teatro Masini, Piazza delle Erbe, Piazza del Duomo, Corso Mazzini, Ridotto del Teatro, Palazzo delle Esposizioni e tutti gli altri spazi della città, facendo respirare a tutti un vero e proprio clima da città europea dedicata e aperta all’arte, alla cultura e alla musica capace di dare lavoro e intrattenimento ai giovani che costruiscono il futuro culturale di questo paese.
Faenza con la chiusura del ciclo del MEI dei 20 Anni resta così al centro del dibattito nazionale sul futuro della nuova musica in Italia con il primo Forum sul Giornalismo Musicale che ha visto oltre 110 giornalisti partecipanti provenienti da tutt’Italia interrogarsi sul futuro della musica e del giornalismo musicale e un importante Convegno sul Futuro del Liscio, oltre ai principali artisti della nuova scena musicale emergente e i suoi principali protagonisti tra etichette discografiche indipendenti, promoter, circoli, club, festival e contest tutti legati al comune lavoro di una piattaforma di lancio della nuova scena musicale inedita, originale, creativa e innovativa, grazie alla presenza degli On.li Lorenza Bonaccorsi ed Elena Ferrara che hanno rappresentato il quadro della futura Legge sulla Musica e sullo Spettacolo dal Vivo, dove il MEI ha contribuito con diversi punti, della Presidente dell’Apt Liviana Zanetti, dove si sono discussi punti focali sul futuro del Liscio e della Notte del Liscio con giornalisti, intellettuali e opinionisti per idee, proposte e suggerimenti, di Paolo Masini, Consigliere del Ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini, che ah illustrato le azioni fatte dal Mibact guidato dal Ministro Franceschini a favore della musica con spesso il MEI al proprio fianco come nel caso della Festa della Musica nazionale e in tante altre iniziative.

Daniele Silvestri, partito al MEI 20 anni fa, quando alle prime edizione del Meeting delle Etichette Indipendenti partecipò con la sua piccola etichetta discografica restando per tutti i giorni della manifestazione allo stand e
parlando con tutti e dopo avere celebrato qui anche i suoi 10 anni di carriera, quando è salito sul palco del Mei di Faenza ha ringraziato tutti e ha detto “Grazie, perché qui mi sento a casa, qui è dove ho mosso i primi passi, incontrato tanti altri artisti e dove immaginavo il mio futuro, un futuro che si e’ realizzato, oggi possiamo dirlo 20 anni dopo, che ha visto crescere gli artisti e la musica indipendente, il Mei e me personalmente. Grazie a tutti per avermi fatto tornare a casa”.

Testo completo e approfondimenti disponibili qui.

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