In Flames: Battles è lo specchio di quello che siamo oggi

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Mancano sempre meno giorni all’attesissimo ritorno degli In Flames con “Battles”, dodicesimo capitolo della discografia della band svedese, in uscita il prossimo 11 novembre 2016. Abbiamo incontrato i paladini del melodic death metal durante il loro promo tour italiano. Anders Friden e soci ci hanno raccontato nel dettaglio sia la genesi travagliata (e costellata da cambi importanti sia in line-up che a livello di produzione) che i contenuti della nuova fatica di studio.

“Battles”, ovvero lotta interiore
Come tutti noi, anche gli In Flames hanno i loro problemi e dibattiti interiori. Come recita la titletrack di “Battles”, la dicotomia “you are my pain and I adore you” si rispecchia nel modo di pensare comune, sempre in bilico tra voglia di serenità e masochistici sconvolgimenti interiori. Solo che se noi magari ci sfoghiamo piangendo o spaccando cose a caso, loro lo fanno componendo nuova musica. “Battles” è proprio questo, un qualcosa che è necessario affrontare ogni giorno. Da piccoli problemi pratici, a dilemmi etici, come identificarsi in un gruppo di persone, o riflettere sulla propria vita, o l’essere una buona o cattiva persona a seconda del contesto in cui ci si trova. Una sorta di catarsi insomma.

“The End”, il primo singolo
“The End” è una tipica canzone degli In Flames, molto diretta, con un cuore melodico. Dal punto di vista delle lyrics tocca argomenti molto interessanti e complessi, come il rapporto e le interconnessioni tra vita e morte. Ma in realtà, è tutto il disco a risultare talmente interessante che la scelta di “The End” è stata obbligata. “A noi sarebbe piaciuto che tutti i pezzi di “Battles” fossero singoli”.
Da questo punto di vista, gli In Flames sono old school e ragionano a LP: “Quando abbassi la puntina, devi solo aspettare. Lato A, parte la prima canzone, la ascolti. Giri il disco, lato B, e ti godi tutto l’album in un unico flusso, senza interruzioni”.

Nuovo produttore, nuove idee: l’apporto di Howard Benson
La band svedese ha ammesso di essere sempre stata molto gelosa e protettiva nei confronti della propria musica, ma questa volta, ha deciso di cambiare registro e aprirsi ai consigli di un esterno, nonostante non abbia la benché minima intenzione di lasciarsi influenzare da discografiche, stampa o mode più o meno passeggere. “Abbiamo avuto l’opportunità di lavorare con Howard Benson, scegliendolo tra una serie di produttori con cui avremmo voluto collaborare. Lui è stato l’unico a capire cosa volessimo fin dall’inizio”.
Per la cronaca, Benson ha lavorato con pezzi da novanta come My Chemical Romance, Skillet, Three Days Grace e Santana. E questo ha aiutato a fare la differenza, incontrando dal primo momento le aspettative della band. Nonostante il produttore abbia partecipato anche alla scrittura dei pezzi “non ha mai preteso di snaturarci da quello che siamo, ma solo che ci concentrassimo sul risultato osservando la musica da prospettive del tutto diverse”. Un’esperienza positiva, che la band non vede l’ora di ripetere, e che li ha pompati con un sovraccarico continuo di energie della durata di ben nove settimane. “Ma non ci sarebbe dispiaciuto rimanere al lavoro sul disco per un’altra ventina di giorni. Ci sentivamo estremamente produttivi e creativi. Di solito è il contrario, dopo tutto questo tempo non ne vuoi più sapere di mettere piede in studio o toccare una fottutissima chitarra, sei prosciugato. Ma grazie ad Howard e al suo team è stato diverso”.

Il nuovo batterista, Joe Rickard
Dopo l’addio di Daniel Svensson, la band non era attivamente alla ricerca di un nuovo batterista. L’unico pensiero era terminare le registrazioni di “Battles”. “Siamo arrivati in studio negli States con la maggior parte delle canzoni già pronte. Volevamo che il tocco di Daniel rimanesse lì dov’era”. Un’impresa quasi impossibile quindi quella di introdursi in corsa, lasciando inalterato il lavoro e il mood di un predecessore di tale portata. Ma ancora una volta, ci ha pensato Howard Benson a salvare la situazione, presentando agli In Flames Joe Rickard, ex batterista dei Red. Rickard non si è lasciato intimidire dalla situazione, e ha subito preso in mano le bacchette. La chimica era quella giusta, e dato che anche il risultato finale era ottimo, i Nostri non hanno potuto far altro che esclamare: “ragazzi, è lui”, inserendo Rickard a tempo pieno in line-up.

Un percorso di crescita artistica naturale
Gli In Flames sono orgogliosi di ogni singolo disco che hanno prodotto, “perché ognuno di loro ci ha portato fin qui”. Sbagliando per cercare di migliorarsi. Incuranti dell’aspetto visivo e “modaiolo” della loro musica, ma diretti, sinceri e potenti come i loro pezzi. “Per noi il modo di vestire è del tutto irrilevante. Non siamo né gli Slipknot, né i Metallica né gli Slayer. Siamo gli In Flames”. L’aspetto visivo quindi è secondario alla musica, perché non la definisce, ed è anche vero il contrario.“Battles” è il quadro della situazione attuale in casa In Flames: è un disco molto “guitar driven”, basato e costruito intorno a riff che rimangono impressi a lungo nella memoria, come del resto succede spesso nelle loro produzioni.

Vita da tour
“Stasera andiamo a casa, dopo una settimana di promo, facciamo le valige e andiamo ad Amburgo per in iniziare le prove. Poi avremo una settimana di ferie per riflettere sulla nostra vita, poi avremo ancora sette giorni di tempo per ridefinire gli ultimi dettagli, e alla fine inizieremo il tour in Giappone”. E da quel momento i nostri eroi ne avranno per più di due anni, in giro per il mondo e lontano da casa. “Ma ci piace quello che facciamo”. Trascorrere quasi il 99 per cento delle proprie esistenze on the road è croce e delizia di qualsiasi artista di un certo livello che si rispetti.

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