Era alta la curiosità nel rivedere la band di Joey DeMaio dal vivo in un concerto da headliner al chiuso, a quattro anni di distanza dalla trasferta a Monaco di Baviera in occasione del Gods Of War Tour. A questo giro il disco da promuovere è la riedizione di “Battle Hymns“, mentre non mancano i motivi per fare festa e celebrare una delle band che ha fatto della coerenza una delle sue caratteristiche più importanti, anche a costo di risultare pacchiana e poco credibile agli occhi dei detrattori.
Detto che arrivare al luogo dello show in auto è imbarazzante nella sua semplicità (uscita autostradale che ti porta al parcheggio del palazzetto, ndr), la cornice di pubblico che attende i Manowar non è certo di quelle di prim’ordine. Saranno poco meno di tremila i convenuti quando le luci si spengono, una platea ordinata che si dispone prevalentemente nel parterre dotata dei soli cellulari di ultima generazione per immortalare il concerto. Zero fotografi sotto il palco a eccezione di quelli della crew della band, scelta discutibile ma insindacabile, e zero fotocamere requisite al pubblico all’ingresso e piazzate al guardaroba con tanto di talloncino rosa d’ordinanza.
Non ci sono gruppi di supporto e poco dopo le 20:15 si comincia, con il classico intro sinfonico e la simbolica “Manowar” ad aprire le danze: ci vogliono un paio di pezzi per calibrare i suoni (mostruosi come da tradizione) del mastodontico PA dei Nostri, forse anche per questo la canzone risulta impastata e più lenta rispetto all’originale. E’ solo un modo per carburare tuttavia, dopo i primi dieci minuti il colossale Eric Adams scalda la voce e da lì in poi, effettistica di supporto a parte, le canta di santa ragione a tutti i convenuti. E’ proprio lui il protagonista assoluto di uno show dei Manowar: una voce che è ovviamente cambiata col passare degli anni, che ha perso qualcosa in pulizia ma che rimane marchio di fabbrica totale e garanzia di successo.
Si potrebbe invece obiettare parecchio sulle capacità di Karl Logan, oramai rumorista al pari di DeMaio quando stupra il basso, che spesso si perde in cascate di note superflue e dopo oltre 15 anni di militanza risulta inadeguato specialmente se confrontato con i suoi (‘il’ suo) illustri predecessori. Solida invece la prestazione di Donnie Hamzik alla batteria: impreziosisce “Kill With Power” o “Black Wind, Fire And Steel” con qualche fill creativo ma probabilmente si limita troppo all’amministrazione standard di composizioni non certo impossibili. Che dire del padre padrone Joey DeMaio: si è costruito da solo in 30 anni di militanza e alla lunga ha avuto ragione lui su quasi tutto. Le sue pose sono quelle di sempre, così come anche i suoi ‘solo’ sui custom bass a 46 corde ravvicinate e tese all’inverosimile; idem dicasi per le filippiche a fine set, in cui canna clamorosamente nel non menzionare tra i fans che hanno viaggiato per seguire i Manowar, le ‘milizie’ italiane, le uniche presenti con tanto di bandiere. Tuttavia non frega nulla a nessuno delle capacità tecniche quando si parla di “Kings Of Metal“: conta l’impatto, la potenza e anche l’emozione che un pezzo come “Heart Of Steel” (tra gli highlights assoluti dell’evento insieme a una clamorosa “Sign Of The Hammer“) riesce ancora a trasferire alla folla dopo così tanto tempo.
Oltre due ore di concerto, praticamente tutti i classiconi e una serata all’insegna della fratellanza metallara come nessun’altro act è in grado di mettere in piedi. E’ vero, l’età comincia a farsi sentire ma la passione e soprattutto il cuore che i Manowar sono ancora in grado di sfoderare durante le loro prestazioni sono ben lontani dal pensionamento. Intramontabili.
Setlist: Manowar, Death Tone, Metal Daze, Shell Shock, Dark Avenger, Battle Hymn, Fast Taker, Sun Of Death (guitar solo), Brothers Of Metal Pt. 1, Kill With Power, Metal Warriors, Heart Of Steel, William’s Tale, Fighting the World, The Gods Made Heavy Metal, Sons Of Odin, Call To Arms, Hail And Kill, Sign Of The Hammer, House Of Death, Kings Of Metal, King Of Kings, Warriors Of The World United, Black Wind, Fire And Steel, The Crown And The Ring (Outro).
J.C., L.G.