Disco della svolta per la band statunitense Suicide Silence, che abbandona i canoni tradizionali del deathcore per addentrarsi in territori inediti ed inesplorati, al confine fra nu e alternative metal.
L’ombra di Korn e Deftones si allunga sull’omonima nuova fatica discografica del quartetto; Eddie Hermida si mette alla prova con parti cantate in clean vocals, mentre il resto della band esplora nuove sonorità portando il sound dei Suicide Silence dove non era mai stato prima.
Il futuro è tutto nuovo, i fans sono in subbuglio, ma la band pare fermamente convinta della bontà delle proprie scelte. A metà disco “Hold me up, hold me down”, un ritorno di fiamma che fa ripensare alle sonorità delle origini, ma si tratta di un guizzo di pochi minuti, poi tutto torna nuovo, fino a giungere alla spiazzante ballad “Conformity” che anticipa il brano di chiusura “Don’t Be Careful You Might Hurt Yourself”, uno dei pezzi più veloci e diretti dell’intero platter.
Si tratta dunque di un disco che ha già fatto discutere, e continuerà a farlo ancora per molto tempo. Coraggio consapevole o salto nel vuoto scriteriato? Il tempo sarà il miglior giudice.