Un ritorno all’elettronica di “Black Cherry” e “Supernature”? L’ennesimo cambio di rotta di un duo che, oscillando tra onde quadre e sonorità acustiche, ha attraversato quasi un ventennio di musica, tra alti e bassi, sì, ma senza mai ripetersi? Non direi, la complessità di “Silver Eye” dei Goldfrapp va ben oltre. “Non sto cambiando chi sono, lo sto diventando”, dice la protagonista nel finale del documentario del 2015, “My Transgender Summer Camp”, che in questo disco ha ispirato il brano “Become the One”.
Così, nelle dieci tracce di questo intrigante settimo album dei Goldfrapp si ritrovano molti degli ingredienti dei lavori precedenti, in una sintesi perfetta di quelle che da sempre sono le loro due anime: quella elettronica di “Felt Mountain”, “Black Cherry”, “Supernature”, nonché del fallimentare “Head First” e quella “pastorale” di “Seventh Tree” e dell’ultimo, bellissimo, “Tales of Us”.
Dal loro catalogo qui Alison Goldfrapp e Will Gregory – affiancati, tra il resto, da Bobby Krlic, noto come The Haxan Cloak, alla seconda collaborazione prestigiosa, dopo quella con Bjork – pescano il meglio. Ci sono le atmosfere onirico-evocative, il richiamo alla natura e il delicato trasporto melodico di “Felt Mountain”, “Tales of Us” e di buona parte di “Seventh Tree”. Dei loro dischi più votati all’elettronica, invece, mancano il gusto per le soluzioni eccentriche, sia nella voce, che ne suoni, e l’attitudine goliardica, burlesque-grottesque, accantonati in nome di un più nobile intento lisergico. Rimangono gli arrangiamenti elettronici e stratificati, ma qui ci sono una pulizia e un equilibrio, che astraggono il disco dalle ricercate kitscherie di “Black Cherry” e “Supernature”.
“Silver Eye” nei suoi momenti migliori suona scuro, potente, lunare e i momenti migliori, eccezion fatta per le impagabili atmosfere disco fine anni ’70, primi ’80 di “Systemagic”, arrivano quando il ritmo rallenta, dilatando spazio e tempo nella dimensione intergalattica di pezzi come “Faux Suede Drifter”, “Zodiac Black”, “Beast That Never Was” (perfetta fusione tra le atmosfere di “Felt Mountain” e “Seventh Tree”), “Moon In Your Mouth” e “Ocean”.
Da dimenticare il singolo “Anymore”, anche se un pezzo da dancefloor il duo non se l’è mai fatto mancare in nessun album, e “Everything Is Never Enough”, il brano del disco più vicino alle sonorità di “Supenature” (“Lovely to See You” e “Ride a White Horse” su tutti).
Insomma, “Silver Eye” è i Goldfrapp, all’ennesima potenza. E adesso?