Father John Misty – Pure Comedy

Pure Comedy“, il nuovo album di Father John Misty, nome d’arte di J. Tillman, è una fosca impresa ossimorica, velata di stile e soavità, ma con un nocciolo di negativismo esistenziale che mette in dubbio la società e la posizione dello stesso Tillman all’interno di essa.

“Pure Comedy” è l’emblema del dramma del fool recitato con fare autoreferenziale e cantautorale, senza però rinunciare a una costruzione musicale raffinata e piacevole, con il risultato di avere delle canzoni dal senso profondo ma portatrici di un’esperienza musicale appagante.
La prima canzone dell’album è quella che gli dona il nome e come un’etichetta sopra un pacco regalo suggerisce con delicatezza tutto quello che c’è all’interno. Piano e voce, per cominciare, ci dice che è questa quella che lui chiama pura commedia, questo spaesamento in tra cielo e terra, un vuoto talmente grande da non riuscire a ritagliarsi una fetta di esistenza.

Una sorprendente aura alternative ricopre “Total Enterteinment Forever” senza la quale l’atmosfera sarebbe molto simile a quella che si troverebbe in uno dei primi album di Elthon John. “Thing That Would Have Been Known Before The Revolution” è la canzone dove iniziano ad aprirsi le crepe nella fiducia verso questa società che assiste passiva a quello che sta avvenendo. Un’ironica guida alla non reazione, anche qui incorniciata entro una bellezza sonora che ricorda il magnifico disco solista di George Harrison “All Things Must Pass”.
Tra Bob Dylan e il già citato Elthon John, la melodia si dipana tra le pieghe delle parole attraverso “Ballad Of The Dying Man”, le eteree “Birdie” e “Leaving In L.A.”.
Il Beck del bellissimo “Sea Change” viene richiamato dalle note di “ A Bigger Paper Bag” e “Smoochie”, accompagnando la fine dell’album in un corridoio sempre più permeato di atmosfere sospese, fino alla scarna e country “Memo” e alla finale “In Twenty Years Or So”, con acustica e piano ad accompagnare l’ascoltatore all’uscita.

“Pure Comedy” è un incastro di generi ed emozioni contraddittorie, tra il cantautorale che oscilla tra poesia e protesta, tra cinismo e lirica, melodia per far stare comodi e a proprio agio un pubblico di cui non ha fiducia e in cui non crede, rendendolo una figura controversa e spesso criticata. Tillman produce però un album bello e che culla le orecchie, rendendo questa contraddizione ancora più prorompente e stridente nell’ascoltatore, per un artista che puoi giudicare in mille modi, ma che difficilmente si può ignorare.