The Heavy Countdown #27: Loathe, The Royal, Bear, Deadlights

Loathe – The Cold Sun
“The Cold Sun” mi ha colpita fin da subito per la copertina. Poi, la produzione. Ruvida e volutamente grezza. Il debutto del quintetto di Liverpool è un grande sì. I Nostri vanno ben oltre il metalcore, al quale comunque rimangono fedeli per tutto il disco, ma si concedono incursioni nell’hardcore tout court, nel djent, nel black metal e nell’industrial con una grazia e al tempo stesso un’energia molto difficile da reperire in giro.

Tigerwine – Die With Your Tongue Out
Per essere solo in tre, i Tigerwine fanno davvero un gran bel casino. “Die With Your Tongue Out”, il debutto della band made in USA, è un post-hardcore moderno venato di grunge e alternative, malato quanto basta per rimanere in testa fin dalle prime note e divertente dall’inizio fino alla fine. Ci piace perché è come una risata isterica nel cuore della notte.

The Royal – Seven
Gli olandesi The Royal hanno da poco dato alle stampe il loro nuovo disco, “Seven”, ed è una gioia per i fan dei corettoni e dei breakdown spaccaossa a caso (senza alcuna divagazione troppo pulita o leccata). Metalcore classicissimo quindi, e anche un po’ tamarro nell’atteggiamento. Ma dato che ai The Royal tutto questo viene davvero bene, il non prendersi rischi di alcun genere con sperimentazioni astruse può essere una qualità. Poi se in futuro ne avranno voglia, noi siamo qui ad aspettarli al varco.

Uneven Structure – La Partition
Sei anni sono tanti, soprattutto in un sottogenere in continua evoluzione come il djent. Ma i francesi Uneven Structure se ne sono strafregati e ci hanno messo esattamente 72 mesi per dare alla luce il loro secondo lavoro, “La Partition”, prendendosi tutto il tempo da perfezionisti quali sono per limare il loro sound in modo maniacale. Un mondo astratto ma intenso, che vi piacerà se siete fan dei TesseracT prima maniera.

Krimh – Gedankenkarussell
Insomma qualche testata non metallara che vi segnala dischi metallari interessanti da ascoltare ci deve essere no? Ecco, il batteraio dei Septicflesh ha buttato fuori da qualche tempo un nuovo disco che è una gioia per chi è appassionato di roba moderna suonata bene. Roba fatta di progressive, tech-death (e anche dell’alternative se vogliamo) e cose del genere. Insieme a lui ci sono anche diversi guest vocalist che è il caso che scopriate da soli ascoltandovi i quaranta minuti di platter (p.s.).

Bear – ///
Graffianti come gli artigli di un orso (“///” vuole essere un simbolo grafico che rappresenta appunto la zampata del gigantesco mammifero), la formazione belga approda al secondo disco in studio con poche idee ma buone. E soprattutto diversissime tra loro. Di certo la band feticcio dei Bear sono i Dillinger Escape Plan, ma in “///” compaiono anche rimandi a Slipknot, Mastodon e Gojira. Mathcore o non mathcore quindi? Intanto dategli un ascolto, di sicuro vi divertirete.

Ghost Bath – Starmourner
Più che depressi, a me i Ghost Bath sembrano malinconicamente felici. La terza fatica dei Nostri è ideale per chi ha apprezzato la commistione tra black metal e shoegaze alla Astronoid. Ma a differenza della band appena citata, i Ghost Bath utilizzano i vocals come mero complemento ai brani strumentali. È la melodia a fare da padrona in “Starmourner”, e va benissimo così.

Hideous Divinity – Adveniens
Si erano fatti conoscere (e parecchio) dalla comunity underground del broodal col precedente “Cobra Verde”. Ora gli italiani Hideous Divinity sono pronti a confrontarsi con i conterranei Hour Of Penance. Il disco è una fucilata pazzesca, super prodotto e devastante come ci si aspettava. Assolutamente ignorata dai media musicali di massa, la realtà nazionale in campo brutal di questi ultimi anni è di primissimo livello anche grazie a band come gli HD. Tanto di cappello (p.s.).

Lattermath – Lattermath
Sono in molti a parlare oggi di una cosiddetta “second wave of djent”, con TesseracT, Periphery e Monuments come triade patriarcale alle sue radici. Se è vero che questa corrente esiste, i Lattermath possono essere tranquillamente ascritti ad essa. Il loro omonimo debutto è davvero un lavoro interessante, soprattutto nel modo in cui tratta la dissonanza armonica tra violenza, tecnica e melodia, esattamente come hanno fatto in passato i modelli a cui si sono chiaramente ispirati.

Royal Thunder – Wick
Iniziamo da una grande verità. I Royal Thunder vantano una frontwoman con le palle per davvero, altroché “female fronted (aggiungete voi il genere/sottogenere che preferite)”. E oltre a Mlny Parsonz, anche il resto della band non scherza. Per nulla. “Wick” è un disco vario e costruito su fondamenta hard rock ben radicate, incupendosi a tratti con eco sludge e ricordando in diversi momenti i Led Zeppelin. Mica cazzi.

Deadlights – Mesma
È difficile dire qualcosa di nuovo in una scena così varia e satura come l’alternative/post-hardcore. E infatti i Deadlights, al debutto con “Mesma”, non ci provano neanche. Giusto. E giustissimo anche pensare che la semplicità paghi. Focalizzandosi su chorus e linee melodiche già sentite ma intelligenti, la giovane formazione vince facile. Saranno pure derivativi, ma per essere un esordio ci possiamo accontentare.