Risorge dal passato una band cult dell’alternative che dopo anni di inattività risponde all’oblio con “In Spades”. Gli Afghan Whigs di Greg Dulli emergono dal fumoso silenzio che li ha avviluppati in tutti questi anni per ridare al mercato mondiale stile ed eleganza ad un rock che in questo periodo ne vede poco.
Ascoltate la bellissima anticamera “Birdland” e la bellissima e sensuale “Demon In Profile”, con il suo incedere avvolgente incastonato di fiati i un’esperienza già appagante di per sé e rivelatrice del bisogno che c’era di questa band nel repertorio mondiale.
La Sub Pop dà alle stampe questo scrigno di prodigi in bilico tra la poesia sensuale e l’incombenza della morte, tra malattia e desiderio, un capitolo musicale che dà pochi riferimenti.
“Toy Automatic” è una ballata accompagnata da pianoforte con una altissima carica emozionale, che accompagna tutto l’album. Tripudi di arrangiamenti incorniciano questa blues dalle tinte oscure.
Il nero, l’avvolgersi su se stessi, l’introversione oscura è già evidente nella copertina misteriosa che presenta il disco. Una figura nera su bianco, ammantellata, dai vaghi tratti luciferini si erge su una serie di ancestrali piramidi. Morte e vita, cultura e cammino dell’uomo nella storia, gravità e poesia. Tutto in questo “In Spades”, che anche dal titolo suggerisce la mestizia e fragilità della vita.
“Oriole” mostra quella chitarra elettrica che fin ora è rimasta offuscata dagli archi e dalle atmosfere color cenere, anche qui l’emozione è altissima. Compatta e ammiccante, quasi dissonante “Copernicus”, ipnotica e interpretata in maniera intensa da Dulli che alla fine apre ad una vista di melodia stupenda, come appena usciti da una oscura galleria su uno strapiombo sul mare, al tramonto.
In questo secondo album reunion degli Afghan Whigs c’è molto del mondo di Greg Dulli, dai Twilight Singer ai Gutter Twins, tutti riflessi della sua anima oscura e tormentata.
Soul bianco che interpreta il nero dell’anima, questa può essere il sunto della musica degli Afghan e di Greg Dulli, che come innumerevoli album reunion delle grandi band che infiammavano gli anni ’90, sono lontani dai fasti di un tempo ma ci si avvicinano ad ondate nostalgiche che non possono non far provare brividi ai fan di sempre, cosa che da sola giustifica l’esistenza di album come “In Spades”. Per tutti gli altri è la prova che la musica può dare molto di più di quello che sentiamo oggi giorno, che forse stiamo solo vivendo una fase di vuoto del genio musicale.
È vivissimo il rock di “Light As A Feather”, energia e funky sporco che accende l’ascolto e fa ballare la testa, convince e appaga cuore e orecchie, fino al corridoio di uscita, la ballata eterea “I Got Lost”, un brano da colonna sonora ovunque ci sia una scena dove qualcuno abbandona, se ne va.
“In Spades” è un album di stile e di melodia, di luci che accecano e ombre che aprono gli occhi, contrasti di un soul bianco che racconta il nero.