The Heavy Countdown #30: White Ward, Wednesday 13, Miss May I, In Hearts Wake

White Ward – Futility Report
Saxophone black metal. Prima di storcere il naso di fronte a queste tre parole, è opportuno ricordare che già un certo Ihsahn, nel suo ultimo lavoro solista, si è avvalso del sassofono. Quindi, niente di blasfemo, se è già stato detto da chi (un tempo) di blasfemia se ne intende. E soprattutto, incredibile ma vero, il lounge jazz sembra andare d’amore e d’accordo con corpsepaint e screaming. Lo dico spesso, ma con nomi come i White Ward, la storia del post black metal si sta facendo sempre più avvincente.

Create To Inspire – Sickness
Di dischi post hardcore là fuori ce ne sono a fiumi. Anche “Sickness” dei Create To Inspire appartiene a questa corrente, ma non fa nulla per distinguersi, accomodandosi in una comfort zone dalla quale, però, si deve uscire per lasciare il segno. L’energia e le vibrazioni che questo lavoro trasmette sono molto buone, manca “solo” un pizzico di originalità. E a volte clean e unclean vocals (realizzati esclusivamente dal frontman Sean Midson senza l’ausilio dei compagni di band) non sono efficaci allo stesso modo. La base c’è, ma bisogna lavorarci ancora sopra.

Wednesday 13 – Condolences
Devo ammettere di essermi avvicinata a “Condolences”, il settimo full-length griffato Wednesday 13 aka Joseph Poole, con più di un preconcetto. Ma alla fine mi sono dovuta ricredere. Infatti la nuova fatica dell’ex Murderdolls, pur rimanendo nei binari horror punk/shock rock ai quali ci ha da sempre abituato, devia di tanto in tanto verso sonorità più heavy e per questo più convincenti.

Eighteen Visions – XVIII
Un ritorno tanto inatteso quanto gradito. Gli Eighteen Visions infatti si erano detti addio nel 2007, e nel 2013, come se non bastasse, era scomparso lo storico bassista Mick Morris. “XVIII” è quindi un regalo per i fan ancora distrutti per le notizie di cui sopra, ed è un simbolico omaggio a quel passato che nei primi 2000, ha reso gli 18V una delle band più seguite in ambito metalcore/hardcore.

SikTh – The Future in Whose Eyes?
La band di Mikee W. Goodman ha sostanzialmente influenzato la stragrande maggioranza di ogni band progcore e simile che è oggi in circolazione. Sebbene se li filassero solo gli iper sfiga ai tempi, oggi questo nome è tornato alla ribalta proprio grazie all’attualità conquistata dal genere delle chitarre a 7-8-x+1 corde. Il nuovo disco è tutt’altro che immediato o alla ricerca dell’hook melodico perfetto. E’ un mattone concettuale e bello tosto da digerire, che però darà grandi soddisfazioni una volta analizzato con la dovuta calma. Consigliato ai più attempati, anche se fa strano dire così di chi ascoltava “Death Of A Dead Day” 11 anni fa… (j.c.).

The One Hundred – Chaos & Bliss
Hip hop e metal sono un’accoppiata che si è già vista diverse volte nel corso degli anni. Ma i The One Hundred, con il debutto “Chaos & Bliss”, riescono a togliere un po’ di ruggine a questo mix con una buona cura per i dettagli e una certa creatività. Nota di merito anche per il frontman Jacob Field, che switcha dallo screaming al flow con una nonchalance davvero invidiabile.

A Trust Unclean – Parturition
Dopo qualche cambio di line-up gli A Trust Unclean finalmente hanno trovato il giusto equilibrio con questo mini-album, “Parturition”. I Nostri, ponendo maggiore enfasi sul death piuttosto che sul –core, sputano fuori un lavoro parecchio ispirato, che brilla (scusate il gioco di parole) per cupezza e violenza. Una buona mezzora di sfascio totale, in attesa di qualcosa di ancora più sostanzioso.

A Lot Like Birds – Divisi
Il 2017 è ufficialmente l’anno dei cloni dei Dance Gavin Dance. Anche gli A Lot Like Birds possono benissimo essere ascritti a questa corrente. E poi, scopri che “Divisi”, il quarto disco della band, e anche il primo senza il vocalist Kurt Travis, che prima ancora militava nei DGD. Tutto torna, no? In ogni caso, le melodie e le lyrics toccanti di “Divisi” non possono passare inosservate, ma l’opera risente di un’omogeneità di fondo che alla lunga, non paga.

8kids – Denen Die Wir Waren
Alle band tedesche piacciono da impazzire le montagne in copertina. Anche gli 8kids, per non essere da meno, ne piazzano una in bella vista come cover art di “Denen Die Wir Waren”. Note di colore a parte, la ex formazione skate punk, convertitasi al post hardcore, è sempre più orientata verso la melodia, e pur lasciando trapelare di tanto in tanto le influenze delle origini, fanno capolino insistenti sonorità indie rock. Se non vi intimorisce il cantato in tedesco, il nuovo lavoro degli 8kids andrà giù che è un piacere.

House vs. Hurricane – Filth
Gli House vs. Hurricane sono una delle realtà più interessanti in ambito post-hardcore degli ultimi tempi. Il nuovo disco della formazione originaria di Melbourne, “Filth”, presenta sia anthem alla A Day To Remember che energia alla Every Time I Die, in un misto a tratti un po’ spigoloso, ma di sicuro molto gustoso. Se vi piacciono le due band sopracitate, non potrete fare a meno di apprezzare “Filth”.

Miss May I – Shadows Inside
“Shadows Inside” mi ricorda di quando ero giovane. Soprattutto di quello che ascoltavo all’epoca. E il problema è proprio questo. Per I Miss May I dall’esordio del 2009 ad oggi non è cambiato proprio un bel niente. Il sesto full-length dei Nostri infatti naviga nelle acque (fin troppo) tranquille, per non dire stagnanti, del metalcore generico, quello suonato da centinaia di altre band. Ci aspettavamo qualcosa di più di un album per nostalgici.

In Hearts Wake – Ark
Il quarto full-length degli australiani In Hearts Wake rappresenta il chiaro desiderio di accomodarsi in sonorità commerciali ben lungi dalla loro originalità degli esordi. Soprattutto nella prima metà di “Ark”, dove l’effetto già sentito si nota eccome. La seconda parte del disco invece è più aggressiva e ispirata, ma risente comunque della deriva di omologazione alla quale la band sembra volersi abbandonare.

dEMOTIONAL – Discovery
La New Wave of Swedish Metal ha partorito anche i dEMOTIONAL, che regalano al mondo “Discovery”, un disco metalcore moderno filtrato da quella sensibilità tutta svedese per la melodia. Eccezion fatta per i tastieroni e l’elettronica a volte un po’ troppo invadente, l’ultimo lavoro dei Nostri è sicuramente piacevole, pur senza scuotere le fondamenta del genere o senza cambiare l’esistenza di nessuno.

Siamese – Shameless
Si può dire tutto tranne che “Shameless”, il disco che i danesi Siamese hanno appena dato alle stampe, sia sgradevole. Ma è il loro atteggiamento sfacciatamente pop, “shameless” appunto, che a tratti rasenta il trash. Per esempio, quando del tutto a caso sparano nel loro post-(bieber)-core citazioni a un altro Justin, quello di “Cry Me A River”. Va bene essere elastici, ma a me viene solo da dire “si salvi chi può”.