Il miglior disco dei Nickelback dai tempi di “All The Right Reason”. Potremmo già chiuderla qui. Si vede che doveva sfasciarsi le corde vocali Chad per capire che era ora di smetterla con le minchiate e tornare a spingere per davvero.
La gente dice: “Soliti power chord, solite ballad, soliti ritornelli”. E a sto giro col cazzo. Ascoltate “Feed The Machine” (1), “The Betrayal (Act III) (2)” e “Coin For The Ferryman” (3). Poi riprendiamo la conversazione.
Rispettivamente (1) uno dei singoli di una band mainstream di cui hanno parlato anche sui siti di musica djent. (2) La loro canzone più pesante di tutti i tempi. (3) Un pezzone pachidermico che sembra uscito da un incrocio tra “Fight For All The Wrong Reasons” e “Next Contestant”.
Volete quelle scontate? Ho anche quelle. “Song On Fire”, “After The Rain” ed “Every Time We’re Together” sono delle discrete sciarpe ai maroni lo ammetto. Ma noi che ci godiamo ogni tanto anche le cose disimpegnate, che ci fan venire il mascellone enorme mentre facciamo i barbecue con gli hamburger della Montana che tanto poi i piatti le lavano le tipe (eh mica siam delle rockstar che abbiam catering e modelle in piscina) che ancora ci sopportano, sappiamo benissimo che ogni disco da radio rock americana contiene delle sciarpe. E quindi le sopportiamo.
“Must Be Nice” e “For The River” ci trastullano con la loro inutile rumorosità, giusto per sottolineare che i Nickelback son tornati con gli ampli a cannonella per far vedere che son capaci di essere più tamarri di molti altri act che vengono adorati dai metallari. Infine “Home” e “Silent Majority” sono quei pezzi che, seppur con strutture differenti, fan godere in assoluto “noi” che andremo a vederci Bryan Adams e che non riusciamo a stare fermi sui pezzi dei Bon Jovi.
Il disco viene chiuso da una strumentale che lascia più di qualche interrogativo su quanto, a questo punto della carriera, potrebbero davvero fare i Nickelback se solo decidessero di fottersene di quanto il loro fan medio americano si attende da loro (e suonassero realmente ciò che gli viene benissimo, ovvero un concept senza filler del cazzo con i tempi dispari, e le ballad senza batteria con solo arpeggi).
In sintesi, come sempre, i dischi si possono ascoltare oppure si può far finta di ascoltarli. Molti continuano a scegliere la seconda via e pretendono di parlare di un album di spessore scritto da una band di furbi metallari (forse giusto Ryan Peake è un ex oramai, posso solo immaginare cos’avrà goduto Daniel Adair a suonare Betrayal 3 col doppio DW solo lui lo sa). Io intanto mi risparo il pezzo qui sotto un’altra volta.