Eccomi qua a distanza di un anno a scrivere, o perlomeno a tentare di farlo, riguardo ciò che è stata per me l’undicesima edizione dell’Hellfest. A differenza dello scorso anno, ho vissuto questa edizione come fotografo accreditato e non come spettatore. La cosa mi ha permesso di avere une visione ancora più completa soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione, ma di questo vi parlerò in seguito.
A Clisson la popolazione è composta all’incirca da seimila abitanti. Molto bene! Avvicinandoci alla città dall’aeroporto di Nantes, con un rapido conteggio tra gente assiepata in campeggi “fai da te” ai lati della statale, gente in movimento, auto parcheggiate e chi più ne ha più ne metta, abbiamo già quasi superato il numero di abitanti della città stessa.
Il personale dalla crew della mastodontica macchina organizzativa che fa girare questo festival è già da tempo in moto. Vado a ritirare il pass: fila ordinata per l’attesa e in sottofondo pezzi dei Sabbath, Metallica, Pantera, AC/DC. Tempo di godersi i migliori riff e mi accoglie la gentilezza di una ragazza che, spiegati alcuni dettagli, fortunatamente in inglese, (quasi nessuno lo parla qui e per un sabaudo come me farsi capire è dannatamente difficile) mi infila il bracciale Pass 3 Days VIP (io? VIP?) e mi consegna il Photopass. Non resisto, accedo subito alla Hellcity Square e mi tornano in mente tutti i ricordi della passata edizione. Qualcosa è cambiato ma nell’aria c’è sempre odore di metallo e calore dell’inferno. Anche odore di carne alla griglia che rompe un po’ la magia death metal…
DAY 1
Qui le foto della giornata
6 palchi, 3 giorni, 160 band. Come sempre ci sono i due Main Stage sui quali sfileranno i gruppi di maggiore attrattiva. Inoltre gli altri stage come il Valley (che di norma vede in scena artisti grunge, stoner ed affini), l’Altar sul quale sfilano band death, il Temple, rifugio per il black metal, e la War Zone dove va in scena il massacro punk, crossover ed hardcore.
Solo per fare alcuni nomi, il timing prevede band come Textures, Animals As Leaders, Avatar, Queensrÿche, Devin Townsend Project, Ministry, Rancid, Obituary, Red Fang, Marduk, Ereb Altor, Deep Purple, Behemoth, Sabaton, Rob Zombie, In Flames e molti altri.
Mi soffermo in ordine sparso sulle performance che ho potuto seguire e parto dagli headliner Deep Purple: 50 anni di storia del rock sul palco per quello che probabilmente è il tour di addio della band. Gli anni passano per tutti ma Ian Gillan, Steve Morse, Don Airey, Roger Glover, Ian Paice sanno ancora dire la loro e snocciolano i pezzi che hanno dato vita ai ricordi dei più nostalgici.
Avatar: uno show di sostanza e teatralità per il gruppo melodic death svedese con il frontman Johannes Eckerström in palla, una macchina da guerra sul palco che sa fare sua la numerosa platea di adepti che seguono il loro concerto.
Animals As Leaders: talento, tecnica, precisione, non so cosa altro possa mancare in una performance che è stata incredibile. Un trio progressive metal davvero notevole per intenditori. Non mi ritengo una persona competente ma da profano posso solo dire “chapeau”.
Sabaton: la band power metal svedese scatena un vero e proprio diluvio infernale sulla folla assiepata sotto il Main Stage 2. Circle pit e wall of death come se non ci fosse un domani. Ottima forma ed energia da vendere.
Queensrÿche : heavy metal old school per il quintetto americano che fila senza molti alti ma per fortuna anche senza bassi .
Devin Townsend Project: in questo “progetto” confluisce tutto il background dell’ex Strapping Young Lad. Qui si agitano e mixano heavy metal, jazz, progressive, blues per dare vita a un cocktail di piacevole ascolto con qualche tonalità di thrash qua e là. Per me una piacevole sorpresa.
Ministry: Che botta! Al Jourgensen sopra le righe con una vaga somiglianza con Jack Sparrow. Coinvolgimento del pubblico ed alto gradimento per questi veterani.
Behemoth: io li amo punto. Anzi punto esclamativo! Il loro sound è sempre solido, granitico. Ciò che creano sul palco è una sorta di rituale dal quale è difficile staccarsi soprattutto in pezzi come “O Father O Satan O Sun!”, “Messe Noire” e “Chant Of Eschaton 2000”. Gli occhi di Nergal inceneriscono chi li fissa e la ritmica di Inferno alla batteria ed Orion al basso ti entra dritta allo stomaco.
Obituary: ormai che si può dire di loro se non il meglio, i fratelli Tardy & co sono da sempre una garanzia.
Rob Zombie: semplicemente devastante, un animale da palcoscenico che si muove in un atmosfera horror. Visto per la prima volta in questa occasione ma sicuramente da rivedere e da consigliare!
DAY 2
Qui le foto della giornata
Notte quasi insonne per me ma si riparte per questa seconda giornata. Con le borse sotto gli occhi tanto grandi che all’ingresso le volevano perquisire per vedere se nascondevo qualche cosa, volo verso l’ingresso del Cathedral con tutto il mio armamentario al seguito. Oggi la giornata è calda e dopo un litro di acqua sono già disidratato come un pacchetto di frutta esotica al banco di Porta Palazzo a Torino.
Il piatto forte della giornata sono gli Aerosmith ma non ci sono solo loro: The Dead Daisies, Ultra Vomit, Phil Campbell & The Bastard Sons, Nails, Ugly Kid Joe, Frank Carter, Steel Panther, D.R.I., Soilwork, Saxon, Airbourne, Apocalyptica, Pain Of Salvation, Opeth, Kreator e molti altri.
The Dead Daisies: bravi con un Dough Aldrich che fa parlare la sua Les Paul come pochi. Sentir suonare un super rock così fa passare il tempo in un baleno.
Ultra Vomit: nome a parte, devo dire che questo quartetto francese che sforna “parodie” heavy metal non è affatto da sottovalutare! Sono ottimi performer e, magari anche complice il fatto di essere “locali”, tirano su uno show di tutto rispetto.
Phil Campbell & The Bastard Sons: vedere un pezzo dei mitici Motörhead sapendo che, senza Lemmy, non esisteranno più se non nei cuori di tutti un po’ fa male. Nonostante il gruppo non sia male non sono rimasto molto entusiasta della loro performance, forse un po’ sottotono per i miei gusti.
Steel Panther: parliamoci chiaro, sono davvero delle pantere da palcoscenico. Il chitarrista Satchel (Russ Parrish) è quello che tiene banco snocciolando aneddoti e battute verso il resto della band, soprattutto verso Lexxy Foxx. Ovviamente il delirio degli astanti esplode quando gli Steel fanno andare sul palco un numero imprecisato di fan a far da sfondo a “17 Girls In a Row” Le ragazze, in un primo tempo quasi timide, si scatenano elargendo puppe ed effusioni ai membri della band con grande gioia di tutti. Io guardando il maxischermo ho perso quelle 2 o 3 diottrie.
D.R.I.: il gruppo crossover punk statunitense capitanato da Kurt Brecht e Spike Kassidy ha creato il giusto climax per la War Zone facendo mangiare polvere a chi sotto il palco si scatenava in mosh pit e circle pit. Non pensavo che Kurt riuscisse ad avere ancora la stessa carica di quando lo conobbi nell’83 con l’EP “Dirty Rotten”.
Airbourne: con la new entry Harri Harrison alla chitarra, gli Airbourne si presentano sul palco dell’Hellfest in una forma strepitosa. Presenti in scaletta soprattutto i pezzi del loro ultimo lavoro “Breakin’ Outta Hell”. La loro performance è davvero di ottimo livello e l’adrenalina al top.
Kreator: la trash band teutonica per eccellenza non delude mai. Con uno stage con pochi fronzoli, ho potuto ascoltare le hit del loro ultimo album “Gods of Violence”. Non mancano certo le pietre miliari come “Hordes of Chaos”, “Pleasure To Kill” e “Enemy of God”.
Aerosmith: ultimo tour anche per loro e in quel di Clisson una folla oceanica li ha aspettati per tutto il giorno per il dovuto omaggio.
https://www.youtube.com/watch?v=cSJnUcNJ624
DAY 3
Qui le foto della giornata
Se nella prima giornata del festival il protagonista, tra i tanti, è stato Rob Zombie, oggi va in scena “Omar Zombie”. Carbonizzato dal sole e dalla caldazza del giorno precedente, la giornata odierna si presenta anche peggio e dopo un paio di visioni mistiche tipo l’Arcangelo Gabriele che annunciava la mia prossima maternità, mi appropinquo a quello che è l’ultimo giorno di questa immensa kermesse.
Anche oggi 53 bands si esibiscono e ce n’è per tutti i gusti ovviamente.
Shvpes: chi è il frontman di questa band? Nientepopodimeno che Griffin Dickinson, figlio d’arte del più ben noto Bruce Dickinson. Una performance quella degli Shvpes interessante e degna di nota, anche se i ragazzi devono ancora mangiarne di pagnotte.
The Devil Wears Prada: una bella scoperta. La band sfodera un sound molto tosto e compatto.
Alter Bridge: niente da fare, Myles Kennedy, Mark Tremonti, Brian Marshall e Scott Phillips sono una garanzia, un po’ come la certificazione DOP del Parmigiano Reggiano. Un concerto davvero da ascoltare dalla prima all’ultima canzone. Per quanto mi riguarda il tempo dedicato a sentirli è passato in un baleno, della serie “tutto molto bello”.
Scour: vedere Phil Anselmo dopo decenni da quando lo vidi al Monster of Rock di Reggio Emilia nel 1992 mi fa una certa impressione. Devo dire di averlo visto in una forma migliore rispetto alle sue perfomance live con i Down. Lontani dal genere dei Pantera, gli Scou,r essendosi esibiti sullo stage dell’Altar, dovrebbero essere classificati come black metal. Dovrebbero.
Prophets Of Rage: delirio! Una delle migliori band che si sono esibite in questa edizione 2017. Il mega gruppo rap metal nato miscelando Rage Against the Machine , Cypress Hill e Public Enemy ha davvero incendiato la scena. Una folla oceanica ha saltato per tutta la durata del loro concerto che è durato anche troppo poco, non ci si stancava mai di ascoltarli. Esibizione a 5 stelle.
Five Fingers Death Punch: la band come noto è orfana del cantante Ivan Moody, sostituito per questa parte dell’ European Tour da Tommy Vext. Non ne faccio certo una colpa alla new entry, ma se devo trovare una nota dolente nella loro performance il mio dito lo punto su di lui.
Slayer: beh, nulla di nuovo sotto il sole, anche la scaletta è quella che si ripropone ormai da tempo con un encore di tutto rispetto: “South of Heaven”, “Raining Blood” e “Angel of Death”. Passano gli anni ma gli statunitensi sono sempre pronti a mietere vittime.
The Dillinger Escape Plan: anche per loro ultimo tour. Parlare della “pazzia” di Greg, Ben e compagnia cantante è inutile. Il risultato è stato un massacro senza precedenti e la War Zone non poteva essere il campo migliore.
Linkin Park: non sono certo davanti ad una band che sta nelle mie corde, mi limito a dire quello che ho sentito e visto. Del nuovo loro album per fortuna non si è sentito. Per quanto attiene le “vecchie” hit la folla ha ballato a più non posso e si è scatenata cantando a squarciagola tutti i testi dall’inizio alla fine. Il frontman Chester Bennington mi ha davvero impressionato.
Anche questo Hellfest è passato, è passato per me ma anche per le circa 180.000 persone che si sono registrate in questi tre giorni. Già si guarda avanti e ci si vede di nuovo qui puntuali per l’edizione 2018 che si terrà dal 22 al 24 giugno del prossimo anno. Segnatevi le date e se siete titubanti veniteci, qui ci si diverte sempre!
NON SOLO MUSICA
Ora qui mi fermo per fare alcune doverose considerazioni. Incomincio con quella che è l’accoglienza che la gente trova una volta arrivati alla “Grande Chitarra” che si trova all’ingresso. Ogni accesso è presidiato dalla Crew che dirige la gente a seconda del braccialetto indossato (contenente un Tag Nfc), aiutati anche dall’abbondante cartellonistica e dai tantissimi opuscoli in cui è presente la mappa del sito con tutti i relativi servizi indicati (bar, aree ristoro, servizi igienici, punti di pronto soccorso, aree di ricarica Cashless, ecc.) e ovviamente anche la dislocazione dei palchi e il timing giorno per giorno suddiviso per orario e stage.
Per motivi di sicurezza ovviamente non sono ammessi ai varchi bottiglie di vetro, bottiglie di plastica chiuse e altre cose. Ogni punto di ristoro, soprattutto i bar, vendono le bevande rigorosamente in bicchieri di plastica “griffati” Hellfest che il cliente paga (anche le lattine di qualsiasi tipo di bevanda vengono versate negli stessi). Questo dà come risultato di non avere rifiuti in giro (la pulizia delle aree dove si tengono i concerti è esemplare).
Passiamo al servizio di security che si trova sottopalco e alla crew che regola gli accessi agli addetti ai lavori e ai fotografi sottopalco. Semplicemente fantastici, non si possono che spendere parole di elogio. Gentilezza e collaborazione sono le caratteristiche che ho trovato in coloro i quali ci davano accesso al pit riservato ai fotografi e spesso sono anche stati davvero “larghi di manica” concedendoci più del dovuto (accesso ad aree ristrette con ombra per non farci svenire dal caldo ).
Il personale sottopalco ha avuto davvero il suo da fare. Si perde il conto di quanta gente concerto per concerto è stata “raccolta” dopo i crowdsurfing ed adagiata dall’altra parte delle barriere nei modi più sicuri possibili, così come i memorabili crowdsurfing di alcuni portatori di handicap sulle loro sedie a rotelle… davvero fantastici (e qui il plauso va anche al pubblico).
Apro una parentesi speciale per coloro i quali ci hanno accolto nell’area stampa dedicata ai vari giornalisti e fotografi. Un’area molto ben equipaggiata con PC messi a disposizione per l’invio del materiale prodotto e ovviamente un’efficace copertura Wi-Fi per chi aveva la propria attrezzatura, un’ area adibita alle conferenze stampa e una serie di salottini per le interviste concordate, il tutto perfettamente organizzato e funzionante. I responsabili sempre pronti a dare le informazioni sulle restrizioni e ogni altra nota proveniente dai vari management delle band. Bevande spesso offerte per poter ristorare gli ospiti dato il caldo che in alcuni momenti era opprimente. Tutti ottimi professionisti e tutti pronti a farti sentire a tuo agio. Insomma essere a casa anche se lontano da casa!
https://www.youtube.com/watch?v=8dNSz9IDjXo