Esce domani venerdì 17 novembre il nuovo album per Sugar dei Negramaro: “Amore che torni”.
Ci sono dischi che volenti o nolenti ti cambiano la vita, la prospettiva o solo te la alleggeriscono con quella lieve emozione che ti si incastra sulla pelle all’ultima nota dell’ultima traccia. I miei furono “More Betterness” dei No Use For a Name e “Cambio” di Lucio Dalla nel lontano 1990 con “Le Rondini”. Capitati in due momenti in cui ne avevo particolarmente bisogno. “Amore Che Torni” indubbiamente è il terzo. Dando voce a un viaggio interiore oltre che fisico, dando passi alla ricerca del tornare a voler restituire il giusto valore alla sostanza delle cose, all’essenza dei ricordi, alla voglia di emozionarsi ancora ascoltando un disco.
Un album diverso dai precendenti, ma di questo la band salentina aveva già abituato gli ascoltatori non ripetendosi mai disco dopo disco. Un album in cui si coglie il nuovo piglio della band, la nuova armonia che si riflette in quell’elettronica cosciente (“Fino all’imbrunire”), nella chitarra quasi struggente di “Per uno come me”, nello sguardo di sottecchi di “Ridammi indietro il cuore”, che sembra ricordare il mood vivido di “Casa 69”. Un album in cui c’è tutto l’anima live, i tapping, le chiavi più intime. Un disco spoglio di inutili orpelli che nell’epoca del troppo che stroppia è miele per le orecchie. Un disco che mostra tutto il lavoro che i Negramaro ogni volta fanno nel sviscerare un brano emozionalmente in musica, che fa dire ancora possibile un percorso musicale che non per forza passa dalla TV, offrendo quell’alternativa che ancora si spera per questa generazione 3.0.
“Amore che torni” è l’album in cui Sangiorgi in primis ma anche Andrea, Andrea, Emanuele, Danilo, Ermanno si mettono a nudo, come uomini non come band. Un disco che parla di una lontananza per ritrovare quei pezzi sparsi nell’universo (“Pezzi di te”) e la voglia di ritrovarsi tutti e sei ancora in quella cantina da cui il viaggio è iniziato. Un disco che parla del mondo, di quanto ancora abbia valore il ricordo, dell’arroganza insita nell’ignoranza con parole caricate nei fucili pronti a colpire (“La Chiave, la virtù e l’arroganza”), nella sostanza e nel senso che vogliamo dare alle cose per stare ancora bene (“Mi basta”). Un disco in lontananza, con richiami porti da Becker in cuffia che suona e Sergio Leone o la tana del coniglio, una silente preghiera alla voglia di ritrovare la vecchia musica. Un disco che parla di accoglienza non per ideologia o qualunquismo ma per umanità perché abbiamo tutti storie comuni anche se in punti distanti sotto lo stesso universo. Un disco che parla di amore, in senso lato o meglio dandone la definizione giusta del termine riposizionandolo nella giusta ottica, sviscerandone le emotività.
“Amore che torni” è non un ma Il disco in cui ci possiamo trovare un po’ tutti, dove quel “questo non sono più io” accomuna una generazione che ha ancora voglia di scavarsi dentro, star male nella ricerca di risposte ai mille perché che soggiogano l’anima, dove per ogni buio c’è la consapevolezza che “domani è un nuovo inizio” (“Ci sto pensando da un po’”).