Corrosion of Conformity – No Cross No Crown

Pepper Keenan è tornato nei Corrosion of Conformity  ed è tornato a cantare. Finalmente aggiungo, dopo anni relegato alla chitarra dei Down adombrato dalla ingombrante presenza di Phil Anselmo. Dopo un inizio carriera, che ha aperto i battenti al genere crossover thrash mescolando elementi di metal classico con quelli del punk hardcore, negli anni ’90 e precisamente con l’avvicendamento al microfono e chitarra del buon Pepper i Corrosion hanno goduto della punta massima di fama, avvicinandosi e infine attestandosi all’interno dello stile sludge metal con capolavori come “Wiseblood” e “Deliverance”, arrivando alla concessione più commerciale di sempre con “American’s Volume Dialer” del 2000.

Capitava spesso quindi a metà degli anni ’90 di vedere la chioma bionda di Pepper con i loro video su Mtv, di canzoni fortunate come “Albatross” o “Vote With a Bullet”. I Down hanno poi catalizzato le performance del cantante chitarrista, tanto che le ultime uscite del gruppo hanno visto un fisiologico ritorno alle origini stilistiche dovute alla mancanza del carismatico frontmen. Dopo il famigerato saluto romano di Anselmo durante un concerto dei Down che ha, di fatto, fatto naufragare la band spedendola in una pausa permanente, Keenan è tornato sul palco a fronteggiare la band che ha presto annunciato la registrazione di un nuovo album.

Ed eccolo, “No Cross No Crown”. Titolo che spicca in continuità con le tematiche dissacratorie e rompi convenzioni che da sempre il gruppo porta avanti. Nessuna croce e nessuna corona, che sia temporale o terreno l’importante è che ogni potere venga distrutto alle fondamenta. E per farlo i COC puntano tutto sul ritorno al metal sludge ma come era prevedibile e inevitabile, l’influenza dei Down si fa sentire condendo il tutto con un sapore squisitamente southern metal. Il faro fisso che guida la produzione stilistica è in tutto e per tutto quello dei Black Sabbath che aleggiano durante tutto il sound di No Cross No Crown , esplicitamente omaggiati nell’episodio di “Nothing Left To Say” e il suo inizio che i fan della band inglese assoceranno subito a “Planet Caravan” e a molti momenti musicali dei Down.

Le canzoni sono tutte dei blocchi di granito talmente ingombranti e corposi da richiedere spesso anticamere strumentali come “Novus Deus” che prepara alla mazzata sludge di “The Luddite”, la cupa “No Cross” preludio della potente “Wolf Named Cross” o la sognante ballata acustica “Matre’s Diem” che stende il tappeto a “Forgive Me” energica e dai tratti stoner che non disdegna una buona melodia muscolosa per il pezzo migliore del lotto. In tutto questo buon ritorno spicca un Pepper Keenan in gran forma, con il suo timbro caldo e potente e solcato dagli anni, una produzione di carattere e soddisfacente, un suono che negli ultimi anni ha subito gravi perdite e che aveva bisogno di rivedere queste facce e queste note.