Una settimana fa a Milano, in uno di quei bar perfetti per Instagram ma con poco spazio per muoversi e per respirare, è andata in scena la presentazione di “2640”, il nuovo album di Francesca Michielin. Il terzo disco della cantante di Bassano del Grappa è poi uscito ufficialmente venerdì 12 gennaio dopo essere stato anticipato da due singoli, Vulcano e Io non abito al mare, che hanno riscosso un buon successo sia dal punto di vista delle “vendite” che dei passaggi radiofonici.
Francesca Michielin, ormai, non è più solo un volto uscito da X Factor, ma è un’artista a tutti gli effetti e che negli ultimi due anni, complici un Festival di Sanremo vissuto da protagonista prima e un Eurovision Song Contest di luci e ombre dopo, ha avuto una crescita esponenziale. Per essere più chiari, se prima era semi sconosciuta al grande pubblico ora la conosce persino la casalinga di Voghera. Anche per questo motivo, l’attesa dietro a “2640” era piuttosto alta. Osservando i nomi dei vari collaboratori poi, dal super richiesto produttore Michele Canova fino ad arrivare alle penne dei vari Calcutta e Paradiso, il presentimento che per questo progetto si sia voluto puntare tutto, andando in un certo senso all in, si è fatto di giorno in giorno sempre più forte. I presupposti per fare un ottimo lavoro e per fornire un repertorio a una ragazza di talento, che fino a qui aveva si e no qualche ottimo singolo, ma niente di sostanzioso da portare nei locali, c’erano tutti.
Le canzoni del nuovo “2640” di Francesca Michielin, però, assomigliano a degli shot di vodka. Buonissimi, ma finiscono in un istante. Certo, rimane la sbronza del giorno dopo, ma anche quella con il passare delle ore svanisce. Francesca Michielin non è Lorde e non è nemmeno una cantante indie come va tanto di moda adesso. Il tema deve essere chiaro anche a chi erroneamente ha affibbiato alla giovane ragazza veneta una veste non sua. Inutile prenderci in giro, “2640” non è altro che una grande operazione di marketing riuscita fino a un certo punto. Il disco andrà bene perché è attuale e anche furbetto, ma quello che resterà nella memoria collettiva della gente sarà davvero poco.
Come detto Francesca non è Lorde, e non mi riferisco di certo all’aspetto fisico. Parlo di carattere e personalità, da sempre il punto debole della Michielin. “2640” è pieno di sovrastrutture e Francesca, tolto il luccichio di una giacca sgargiante, il suono elettropop spacciato nel 2018 per novità e post a effetto per promuovere il lavoro, si perde come un ago in un pagliaio. Ed è un peccato perché dal punto di vista dei testi, tralasciando certi riferimenti forzati da lezione di geografia, il passo in avanti è evidente. La penna di Francesca è il fiore all’occhiello del lavoro. E non è un caso se gli esempi più riusciti dell’album siano quelli scritti di suo pugno come “Comunicare”, “Noleggiami ancora un film” e “Scusa se non ho gli occhi azzurri” dove, in alcuni punti, ricorda la Pausini. L’hanno voluta rendere ragazza da copertina, ma Francesca è una che schiva i riflettori ed è più tipo da divano, plaid e Formula 1 alla tv. Strano che nessuno se ne sia accorto ascoltando il disco, perché lo canta a voce alta più e più volte.