Perchè era obbligatorio vedere ancora i Rhapsody

Era il 1997, Legendary Tales avrebbe inventato un genere. Difficile non pensare al fatto che siano passati più di venti anni con in mezzo cambi di formazione, nome, concept ed etichetta. I Rhapsody affrontano il loro tour d’addio, la parte finale di un percorso delizioso sotto il profilo musicale, commovente dal punto di vista affettivo e nostalgico per ciò che rappresenta per chi si è evoluto in compagnia delle loro saghe.

Per chi scrive, i (primi) Rhapsody simboleggiano un’era indimenticabile, costellata da momenti di grande crescita e amicizie che risplendono oggi come allora, nonostante la distanza e i rami della vita abbiano allontanato le sinergie di un tempo. Tutto si intreccia quando il quintetto sale sul palco, accompagnati dall’apripista “In Tenebris” per poi lasciare subito spazio al primo pezzo da novanta. “Dawn of Victory” è un pugno che direttamente dal passato colpisce in pieno portandomi a condividere in video la carica del duo Lione-Turilli con gli amici di una vita. In fondo questo è più di un semplice evento musicale: è il tour d’addio di una coppia formidabile che per quanto circondata da ottimi artisti come Alex Holzwarth alle pelli, Dominique Leurquin alla chitarra e Patrice Guers al basso rimane la protagonista indiscussa della serata e dei richiami del pubblico.

Turilli si diverte, cerca i compagni, sorride e trasmette grande vitalità mentre a Lione è affidato il ruolo di frontman paroliere con racconti, aneddoti e curiosità. La selezione musicale ripesca da un trittico piuttosto amato di album come Dawn of Victory, Symphony of Enchanted Lands e Power of the Dragonflame. Lione si destreggia tra pezzi variegati, dove ha modo di ripercorrere le fasi dorate della sua storia professionale: “The Village of Dwarves”, “Wisdom of the Kings”, “Power of the Dragonflame” si susseguono senza sosta, rimarcando con grinta ai presenti che quei racconti epici sono più che mai attuali grazie all’ottima performance canora del toscano. Che è lì, sul ciglio del palco, pronto a caricare il popolo dell’Alcatraz vivace, un nucleo pulsante che balla e si diverte sulle note di “Beyond the Gates of Infinity” e “Knightrider of Doom”, sfruttando la più lenta “Wings of Destiny” per omaggiare Lione di un coro appassionato.

È il momento di “Riding the Winds of Destiny” che scorre via veloce, lasciando il palco a un duetto interessante: Nicoletta Rosellini si prende sulle spalle la parte di cantato femminile di “Symphony of Enchanted Lands”, riscuotendo grande successo per via di indubbie doti artistiche nonché di ottimo piglio scenico. Sicuramente una bella presenza che si è guadagnata i complimenti personali tramite social, è sempre galvanizzante infuocare la passione di giovani principesse da palco. Si abbassa il sipario ed è Holzwarth a rialzarlo, con un solo di batteria che non stravolge gli equilibri ma diverte, spingendo – con “land of Immortals” prima e “The Wizard’s Last Rhymes” – al turno di Guers, in preda a discreta carica nel comporre un coinvolgente assolo di basso. È evidente che il concerto è nella fase di bassa, quel momento in cui si capisce che l’evento è a un avanzato punto di maturazione e ci si sta avviando verso le ultime danze.

Fabio Lione riprende quindi lo scettro di frontman con un tributo inconsueto, un “Con te partirò” di Bocelli che riesce bene, piace, convince ma l’idea che non smette di ronzare attorno è sempre quella: a Lione piace giocare all’interno di una comfort zone ormai delineata. Intendiamoci, è stato splendido, semplicemente la curiosità non è più vederlo cimentarsi con cavalli ormai domati, ma studiarne le sperimentazioni in territori alieni alla sua struttura vocale. La potenza assoluta e assolutamente apprezzata di “Holy Thunderforce” è lo strumento perfetto per mettere una prima parentesi allo show, in attesa dell’ovvio encore. Pochi minuti e riecco Lione in scena, ma stavolta l’aneddoto che racconta ha echi molto lontani e profondi: la narrazione di episodi e dialoghi indimenticabili con Christopher Lee getta una scintilla di tepore nel pubblico, un personaggio eterno dalle tinte così umili e variegate da tendere senza vergogna alla leggenda artistica.

I ricordi viaggiano lontani tra video, film e letture che hanno come protagonista il poliedrico inglese. Il finale è affidato ancora una volta a canzoni di indubbia portata musicale nonché di fan service, con “Rain of a Thousand Flames” e “Lamento Eroico” ad alternare velocità ed epicità per poi chiudere con l’inossidabile “Emerald Sword” a firmare la fine della serata. Si mette così un’altra virgola a un tour d’addio carico di nostalgia, ma anche felicità nel vedere le due colonne riunirsi per creare un’atmosfera intima, calda, il modo migliore per salutare una tra le più famose e influenti band italiane a livello mondiale. Nella speranza di rivederli ancora, in futuro, saltando ancora tra racconti e fiabe di altri mondi.

Grazie a Marco Perri