Probabilmente i nostalgici e fan di vecchia data continueranno a prediligere i primi album dei greci, quando ancora si chiamavano Septic Flesh e proponevano un buon death metal, di fattura però in certo qual modo ‘convenzionale’. Eppure il maggior contributo alla causa i fratelli Antoniou e compagni lo stanno dando adesso, ossia dopo la reunion di qualche hanno fa che ha prodotto un capolavoro del calibro di “Communion”, personalissimo e riuscitissimo esempio di come armonizzare death metal e musica sinfonica per celebrare l’oscurità più profonda in musica. Impresa non da poco, pensando a quanti si sono scottati giocando con gli stessi elementi, mentre pochissimi hanno saputo elevarsi al di sopra del pacchiano e del banale. Mi vengono in mente i migliori Therion e, in contesti diversi, i Rage e i Lacrimosa più ispirati. Merito dell’estro di Christos Antoniou quale compositore e dell’ottima orchestra filarmonica di Praga, perfettamente calata nella parte.
Squadra che vince non si cambia, così il nuovo “The Great Mass” vede presenti tutti i protagonisti dello scorso capitolo. E anche le sonorità e le strutture delle varie composizioni sono molto simili a ciò che si udì in “Communion”: stessa compresenza di blast beat violenti e riff spessi e scuri, stesso uso della doppia voce e di inserti corali e operistici (vedi la soprano che introduce “The Vampire From Nazareth”), stesso gioco delle parti fra pesantezza death metal e componente orchestrale. E quest’ultima è ancora risolta magistralmente: i Septicflesh (e qui sta gran parte del loro acume) hanno capito che rifare male Bach e Vivaldi non avrebbe avuto senso, e allora hanno deciso di sfruttare una moderna orchestra utilizzandola in senso ‘novecentesco’; pur restando sempre all’interno della tonalità, gli archi, i fiati (sentire, ad esempio, i terrificanti ottoni in “Five-Pointed Star”), le percussioni e in generale tutte le sezioni della filarmonica hanno un timbro cupo, abissale, livido, che potrebbe ricordare certo Hindemith o alcune delle composizioni più oscure di Stravinsky o persino di Berg (cfr. la splendida “Mad Architect”, in cui sono altresì presenti chiari riferimenti ai Meshuggah nella ritmica sghemba), arrivando a certi spunti sinfonici vicini al Penderecki delle sinfonie. Rimanendo in ambito metal, molte parti del lavoro potrebbero venir accostate ai Dimmu Borgir più in palla che si mettono a risuonare gli Arcturus de “La Masquerade Infernale” (cfr. “The Undead Keep Dreaming”, altro punto di forza del cd), mentre la produzione è quella tipica degli Abyss Studios di Tägtgren, cosa questa che potrebbe far storcere il naso a qualcuno.
Tutto perfetto come nel predecessore, quindi? Purtroppo no. Certo “The Great Mass” è un altro disco di grande valore, ma alcune imperfezioni a qualche calo di tensione impediscono di assegnargli il massimo dei voti. Tracce come la quasi banale “Rising” e la conclusiva “Therianthropy”, tentativo fallito di escogitare un ritornello melodico, fanno calare la qualità complessiva dell’opera. E la leggera diminuzione della componente orchestrale non giova al risultato finale. I Septicflesh si confermano dei fuoriclasse, ciò nonostante a questo giro non aspettatevi un capolavoro assoluto, solo un ottimo album.
Stefano Masnaghetti