From Sorrow to Serenity – Reclaim
Avevamo lasciato i From Sorrow to Serenity nel 2016 con “Remnant of Humanity”, un debut album che aveva catapultato la band scozzese in un’ottima posizione nel ranking del deathcore attuale. Anche in “Reclaim”, proprio come in passato, oltre ai breakdown di rito non mancano le intuizioni e i momenti catchy (vedi la title track e “Perpetrator”, giusto per citare un paio di esempi). Che i ragazzi fossero partiti in quarta era evidente già qualche anno fa, ma ora stanno dimostrando di essere in grado di mantenere la rotta giusta.
La Dispute – Panorama
Sedetevi comodi, premete play e disconnettete il cervello dalle vostre preoccupazioni quotidiane: ci pensano i La Dispute a cancellarle con le loro elucubrazioni su vita e morte, lungo strade più o meno metaforiche, in un viaggio da cui è impossibile isolare singoli episodi. “Panorama” si dipana su un tappeto per lo più post-hardcore sul quale si alternano spoken word e qualche accenno di screaming. Occhio alle lyrics quindi, qui non si scherza per nulla.
Mayfield – Careless Love
I canadesi Mayfield, attivi dal 2012, con “Careless Love” scavano nel sostrato pop-punk delle proprie origini più a fondo e con più energia, tanto da sconfinare spesso e volentieri nel post-hardcore, senza dimenticare melodia ed emozioni (e il singolo “Blossom” rispecchia a pieno questa definizione). Se siete amanti delle sonorità appena citate, il nuovo lavoro dei Mayfield fa al caso vostro, senza sparigliare le carte in tavola, ma tenendovi una piacevole compagnia per tutta la sua (non eccessiva) durata.
Johnny Booth – Firsthand Accounts
I Johnny Booth sono una band di culto nell’underground newyorchese, sebbene poco prolifici. In poco più di dieci anni di carriera infatti, i Nostri hanno rilasciato solo due album, incluso il recente “Firsthand Accounts”. Il quintetto originario di Long Island ama autodefinirsi progressive hardcore, ma in realtà, come dimostra questa seconda fatica in studio, spazia dal (post-)hardcore tout-court (ascoltate il singolo “Thief”) al metalcore più incline alla melodia (“Bury the Rose”).
Extortionist – Sever The Cord
Il second full-length degli Extortionist si distingue per attitudine e intensità (soprattutto per quanto riguarda pezzi come “Chokehold” e “No Soul”), ponendo maggiormente l’accento sul –core di metalcore, con qualche sporadico sconfinamento in territorio deathcore, e abbondanti scorrazzate oltre i limiti del nu-metal (soprattutto quello di stampo deftoniano e slipknotiano). “Sever the Cord” è un lavoro molto derivativo, ma che ha la qualità indubbia di accontentare un po’ tutti.