Tool – Fear Inoculum
Un nuovo album dei Tool è già un evento di per sé, a prescindere dalla musica stessa. Dall’uscita di “Fear Inoculum” ne abbiamo in effetti sentite di tutti i colori, tra chi gridava al capolavoro e chi invece lamentava a fasi alterne “eh, ma non sono più quelli di una volta/fanno sempre gli stessi dischi”. Per quanto mi riguarda, se non l’avete ancora fatto, vi consiglio di prendervi questi 90 minuti e dedicarli completamente a Keenan e soci, magari anche con i testi sotto mano. So che è tanto in un momento storico in cui dopo 10 secondi si tende a perdere la concentrazione, ma fidatevi, pezzi come “7empest” o la chiusura epica di “Descending” sono valsi tutti e 13 gli anni di attesa. E ogni singolo secondo del vostro tempo.
Richard Henshall – The Cocoon
Tra i nuovi guitar hero del progressive (metal) contemporaneo quello di Henshall è uno dei nomi più imprescindibili in assoluto. Forte del suo contributo negli Haken, il chitarrista ha da poco dato alle stampe questo lavoro solista, in cui può lasciare libero sfogo alle sue incredibili doti artistiche. Senza allontanarsi del tutto dal sound della band madre, “The Cocoon” esplora anche influenze jazz, ambient e addirittura hip-hop (vedi “Lunar Room”), con una carrellata di ospiti che vanno da Ross Jennings a David Maxim Micic.
Wage War – Pressure
Un gradito ritorno quello dei Wage War, che arrivati al terzo full-length in carriera, riescono a limare le (poche, a dir la verità) pecche presenti nel precedente “Deadweight” (2017), buttando fuori un disco melodic metalcore all’apparenza perfetto come il diamante in copertina (provate a togliervi dalla testa il ritornello di “Grave”), senza dimenticare il loro lato più heavy (“Who I Am”). Ma è la melodia a farla da padrone, tanto che il paragone con gli ultimi Beartooth è tutt’altro che azzardato (ascoltate “Me Against Myself”).
Aviana – Epicenter
Dopo un debutto chiaramente ispirato all’universo nu metal, gli svedesi Aviana donano maggiore spessore al proprio sound con un progressivo avvicinamento al djent/progcore, pur senza rinnegare il primo amore (e tutto questo a partire dalla opener “My Worst Enemy”). “Epicenter” quindi è un buon lavoro metalcore contemporaneo. Se proprio vogliamo trovarci un difetto, è il cantato pulito, a tratti un po’ forzato, ma bilanciato egregiamente dal formidabile growl del nuovo acquisto Joel Holmqvist.
Deadthrone – Premonitions
Spesso, in casi di band come i Deadthrone, mi trovo a chiedermi che senso abbiano gli unclean vocals. Attaccamento sentimentale al passato? Poco coraggio? In ogni caso, “Premonitions”, l’esordio discografico dei Deadthrone, cita sfacciatamente i Motionless In White (“Feel”) e gli Escape the Fate più pompati (“Wide Awake”), andando via lisci come l’olio, facendosi aiutare da abbondanti dosi di elettronica, ma senza essere incisivi. Un disco perfetto per i nostalgici di certe sonorità dei primi anni 2000.