Korn – The Nothing
“I’m here to stay”, dicevano i Korn qualche tempo fa. E in effetti, con 25 anni di carriera e 13 (!!!) album alle spalle, sono ancora qui, e continuano a spaccare. Nonostante la trama di “The Nothing” sia sempre la medesima (e ci mancherebbe) Davis e compagnia riescono a dare nuova linfa al loro sound, che seppur legato al passato, non puzza di muffa, anzi. Complice la performance sopra le righe del vocalist (già dall’intro con tanto di cornamuse ci offre un’idea di cosa ci si aspetti da lui), il cui dolore per la perdita dell’ex moglie e madre dei suoi figli è sfociato in uno dei dischi più heavy e cupi dei Korn (e “Cold” e “The Darkness Is Revealing”, per esempio, sono lì a dimostrarcelo).
Starset – Divisions
Gli Starset ci accompagnano in un nuovo viaggio nell’iperspazio (il terzo per la precisione, a 2 anni di distanza da “Vessels”) con “Divisions”. La formula non cambia, ma ammettiamolo, i Nostri fanno bene a non prendersi troppi rischi, anche a costo di suonare un po’ troppo ripetitivi. La loro ricetta a base di metalcore, synth pop e un pizzico di dark wave dà vita a pezzi super orecchiabili, tipo “Trials” (che vi ritroverete a canticchiare subito dopo l’ascolto) o “Faultline” (una versione vitaminizzata degli Imagine Dragons).
Betraying the Martyrs – Rapture
I Betraying the Martyrs sono bravi a proporre quello a cui ci hanno da sempre abituato, ovvero un bel metalcore costruito su riff e breakdown potenti, oltre ad aperture melodiche efficaci e mai forzate, e lo provano da subito, con “Eternal Machine”. Ma il bello di “Rapture” è che si tratta di un disco che continua a crescere durante il suo running time, portandoci qualche chicca come “The Iron Gates” e la sua giustapposizione perfetta tra growl e clean vocals, e “Monster”, forse l’episodio meno convenzionale dell’intero album.
Chelsea Wolfe – Birth of Violence
Dopo le distorsioni e le fascinazioni post-metal del precedente “Hiss Spun” (2017) la cantautrice statunitense esplora il suo lato neo/dark folk nel sesto e attesissimo full-length, arricchendo la sua già invidiabile collezione di opere con una nuova sfaccettatura della sua psiche e della sua musica. “Birth Of Violence”, pur rimanendo un lavoro decisamente e a suo modo cupo, è al contempo intimo e legato alle radici della Wolfe (vedi “The Mother Road” e “American Darkness”).
Being As An Ocean – PROXY: An A.N.I.M.O Story
Una cosa è certa: con “PROXY: An A.N.I.M.O Story”, i Being As An Ocean stanno cercando di fare il grande salto, sia a livello di concept, che a livello musicale/commerciale. Ma il problema, come spesso accade in questi casi, è lo snaturamento che ne deriva. Di quell’emo-post-hardcore di cui i BAAO ci avevano fatto innamorare qui c’è davvero ben poco (tanto che Joel Quartuccio canta quasi sempre pulito), mentre abbiamo elettronica a palate (a volte sembra di ascoltare il nuovo dei Northlane o roba alla Prodigy, tipo “B.O.Y.”) e velleità ultrapop tanto care agli ultimi Bring Me The Horizon (“Play Pretend”). Un disco di passaggio, vedremo in futuro per dove.