The Heavy Countdown #109: Unreqvited, Fear and Loathing in Las Vegas, Poppy

Unreqvited – Mosaic II: la déteste et la détresse
Il primo album blackgaze del 2020 che ci passa per le orecchie è un grande sì. “Mosaic II: la déteste et la détresse”, la quarta fatica degli Unreqvited, lascia intendere quanto anche quest’anno il cosiddetto “sunbathercore” (chi conosce i Deafheaven sa a cosa mi riferisco) possa essere rilevante. “Odio e angoscia” suggerisce il titolo, ma non lasciatevi sviare: è vero che di momenti ansiogeni ce ne sono (vedi l’ultimo capitolo del trittico “Transience”), ma in generale il mood di “Mosaic II” è decisamente positivo, costruito su una stratificazione di synth atmosferici e di chitarre riverberate che si sovrappongono con grazia ed equilibrio.

Fear, and Loathing in Las Vegas – Hypertoughtness
Potevamo lasciarci sfuggire un bocconcino come “Hypertoughtness” dei Fear, and Loathing in Las Vegas, un guilty pleasure all’autotune, con accelerazioni tanto improvvise e scellerate quanto improbabili accenni di pig squeal su tappeti EDM? Assolutamente no. Il nuovo disco dei Nostri è divertimento allo stato puro, electronicore (anzi, massive core) senza troppi pensieri, insomma, un lavoro che preso a piccole dosi non può di certo ledere la nostra dignità. Anche perché, come spesso accade per molte band originarie dell’Estremo Oriente, la tecnica dei FALILV è ineccepibile, una rarità in un genere in cui non è necessario essere dei draghi per avere successo.

Poppy – I Disagree
Che Poppy sia un fenomeno negli States già da alcuni anni è un dato di fatto. Ma il 2020 potrebbe essere il momento dell’esplosione a livello internazionale (anche in Italia, visto che si esibirà per la prima volta per un’unica data milanese il prossimo marzo) per Moriah Pereira, giovane cantante, youtuber e pure leader di una “Chiesa” basata sul culto della sua persona. Partiamo da una grande verità: “I Disagree” sembra una playlist impazzita, come quando partono i miei brani preferiti su Spotify e subito dopo i Darkthrone passa Justin Bieber. Le forzature sono parecchie, gli accostamenti arditi tra pop, elettronica, industrial, metal alla Babymetal e hip hop altrettanti, i rimandi a Manson si sprecano (come il quasi campionamento di “The Beautiful People” in “Anything Like Me”) ma alla fine, arriva un raggio di sole (la decisamente riuscita “Don’t Go Outside”). Nel bene e nel male, Poppy è un nome che sentiremo spesso nei prossimi mesi.

Beach Slang – The Deadbeat Bang of Heartbreak City
“The Deadbeat Bang of Heartbreak City” è un vero e proprio inno alle bevute e alle scorribande notturne con gli amici. Dopo anni a dir poco tumultuosi, i Beach Slang ritrovano la propria identità (nel vero senso della parola, visto che per un breve periodo il combo ha pure cambiato nome) con questo nuovo disco a cavallo tra alt rock vintage e punk rock old school (vedi le esplosive “All the Kids in LA” e “Let It Ride”). Ma come insegna l’esperienza, spesso l’euforia alcolica è accompagnata da momenti di malinconia, che qui portano il nome per esempio di “Nobody Say Nothing”, pezzi acustici e riflessivi ispirati al side project del frontman James Alex, ma che qui risultano leggermente fuori posto.

Prospective – All We Have
Melodia ed energia, insomma, in “All We Have” dei Perspective c’è tutto quello che serve. La band metalcore nostrana ha senza dubbio come punto di riferimento gli Architects e anche i Loathe in alcuni momenti (l’intensità e i bassi pompati e cadenzati della opener “Kill Me” sono lì a dimostrarcelo), ma come sovente succede a molte formazioni alle prime armi, manca un filo di personalità in più per risultare memorabili, andando oltre alla semplice e sempre gradita piacevolezza. Detto ciò, con un lavoro di lima sui già buoni clean vocals, siamo sulla buona strada.