My Dying Bride – Evinta

My Dying Bride Evinta
I My Dying Bride come non li avete mai sentiti (ma che avreste voluto sentire già da molto tempo).
Questo è “Evinta”, doppio cd (ma c’è anche la versione deluxe comprendente un bonus disc) che i britannici hanno deciso di pubblicare per celebrare i vent’anni di carriera, regalando ai propri fan qualcosa che va ben oltre la solita ed anonima compilation. Si tratta, infatti, di nove composizioni che, sebbene traggano tutte melodie e armonie da loro vecchi classici, si possono considerare inedite a tutti gli effetti, grazie anche all’inedita veste timbrica. Niente growl né chitarre elettriche, niente death e niente doom propriamente detti; quel che rimane è solamente lo spirito ‘gotico’ della musica, che rivive tramite interessanti e ben calibrati arrangiamenti classico/sinfonici. Oltre al consueto violino, quindi, largo spazio è lasciato anche a viola, pianoforte, archi, etc., più gli interventi canori di un mezzosoprano che si alternano a quelli declamati/recitati di Aaron Sainthorpe.
Va subito chiarito che l’operazione è riuscita sotto tutti gli aspetti. Gli arrangiamenti, realizzati in collaborazione con il tastierista Johnny Maudling, non sono (quasi) mai pacchiani né ridondanti; anzi, si è preferito enfatizzare l’aspetto cameristico della musica, centellinando invece le aperture orchestrali più roboanti. Scelta davvero saggia, che ha permesso all’oscurità del suono dei My Dying Bride di manifestarsi in forme mai così malinconiche e profonde. “Evinta” ti fa sprofondare poco a poco in un mare di desolazione solcato da dolorosissimi rimpianti. Per certi aspetti, la band prima d’ora non ha mai realizzato un’opera così cupa e sofferta/sofferente. Per descriverne le coordinate, si potrebbero citare gli Elend più elegiaci (quelli privi di scream) oppure i Dark Sanctuary più abissali, e in numerose derive ambient (cfr. “Of Sorry Eyes In March” e “A Hand Of Awful Rewards”) Sainthorpe e compagni giungono nelle regioni più impalpabili dei gruppi targati Cold Meat Industry, quali Arcana e Raison D’Etre. Ma la personalità del gruppo è sempre presente e sempre inconfondibile, anche quando alcuni passaggi indicano la vicinanza con gli ormai ex ‘cugini’ Anathema, act che insieme ai Paradise Lost e agli stessi My Dying Bride ha diffuso il death – doom inglese nel mondo. Dopo due decenni, quelli rimasti più fedeli allo stile originario sono proprio i qui presenti, eccezion fatta per lo stupendo ma anomalo “34.788%…Complete” (1998).
C’è chi, per questo, li accusa di immobilismo stantio, scarsa creatività, incapacità di evolversi. Ci può essere del vero in queste critiche, ma fin quando riescono a scrivere album come “Evinta” hanno ragione loro. Consigliatissimo.
Stefano Masnaghetti

2 Comments

  • E’ forte la suggestione che deriva dall’ascolto di questi brani. Una rivisitazione di temi con un timbro nettamente classico,filtrati attraverso un sentire del III millennio.Bravi.

  • lo sto ascoltando in questi giorni… è sublime! Con EVINTA anche chi non è sensibile può versare lacrime.

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