I Fullforce sono una band al debutto discografico assoluto. Ma questo non tragga in inganno, poiché non ci troviamo di fronte ad imberbi ragazzini alla loro prima esperienza importante della carriera. Al contrario, il gruppo è costituito da pezzi grossi della scena power/prog metal melodica svedese: nella formazione figurano, infatti, Stefan Elmgem e Anders Johansson, entrambi fuoriusciti dagli Hammerfall, oltre all’ex Narnia Carl Johan Grimmark, all’ex Cloudscape Mike Andersson e all’ex Heed Tommy Larsson. Una bella batteria di musicisti di prima qualità, insomma, per quello che avrebbe potuto essere un gruppo in grado di veleggiare a ‘tutta forza’.
Ma così non è stato.
Già, perché nonostante il talento potenziale insito nel quintetto di partenza, “One” non dice davvero nulla che non sia già stato detto, ridetto e ripetuto dalle band madri. Forse persino meglio. La base degli undici brani che compongono l’album è un power metal all’acqua di rose, encomiabile dal punto di vista tecnico e dolcemente levigato da abbondanti dosi di melodismo e da qualche accento progressive sparso qua e là. Però mancano idee realmente interessanti, e il tutto si riduce a un compitino ben fatto ma tutto sommato modesto e, sembrerebbe, persino poco sentito. C’è il prog/power dell’apripista “Mythomaniac” e quello dell’elaborata “Walls Of Secrets“, che strizzano l’occhio a Symphony X, Dream Theater e Cloudscape stessi, ci sono le spezie orientali inserite in “Oblivion“, ci sono scaglie di hard rock melodico Narnia style in “None Of Your Concern” e nella conclusiva “Into The Cradle“, ci sono le belle melodie vocali di cui vive “Rain“, uno degli episodi migliori del cd, c’è persino qualcosa dei Maiden periodo “Seventh Son…” nell’unico pezzo di un certo interesse che non sia retrospettivo, “Suffering In Silence“…ma il peso morto di troppi mid – tempo abulici e carenti di nerbo e sincera creatività finiscono per affossare qualcosa che, forse, con un po’ di tempo in più passato in studio e con un maggiore coraggio nell’osare sarebbe potuto risultare decisamente più d’impatto e, infine, più consono alla qualità degli artisti in questione.
Per chi ama il metal melodico di classe, gli assoli ben rifiniti e la duttilità di un’ottima ugola qual è quella di Andersson, “One” potrebbe comunque riservare qualche bella sorpresa. Per lo meno, intrattenere per tre quarti d’ora di sana distensione uditiva. Tuttavia ad ascoltare “One” vien da rammaricarsi per la sensazione di aver a che fare con un’occasione parzialmente sprecata. Quello che poteva essere un esordio col botto non lo è affatto. Solo per chi non si fa mancare nessuna uscita power di un minimo rilievo.
Stefano Masnaghetti