Line-up da brividi per gli amanti del genere al Flippaut Alternative Reload; la presenza di band di grande riscontro ha creato un microcosmo, un mondo a parte, in una cornice suggestiva come quella del Castello Sforzesco di Vigevano.
L’arduo compito di aprire la serie di concerti è spettato agli Elizabeth, una grandissima sorpresa, scoperti da Valerio Soave (talent scout di gente del calibro di Afterhours e Bluvertigo tra gli altri), che hanno portato ai presenti (ancora pochi all’inizio del concerto e comunque molti ‘rifugiati’ all’ombra e non sotto al palco) un sound elegante e ben curato tratto dal disco d’esordio “Ruggine“. L’impatto è stato buono, gli aficionados conoscevano i testi delle canzoni a memoria, le cantavano con la band e, incuranti del caldo e del sole hanno cantato, urlato e saltato per una buona mezz’ora. Un augurio va quindi agli Elizabeth, i quali, nonostante la normale tensione per un’apertura di grande caratura, hanno saputo rispondere con uno show che sicuramente non ha reso scontento nessuno. Bravi! Il compito di far ballare la folla è spettato inizialmente a Dan Black ed al suo ennesimo progetto, con un sound diverso dai celebri periodi dei Planet Funk o dei The Servant, tratto dal disco solista “((un))“. Che Dan Black fosse un personaggio carismatico ed una calamita per groove a metà tra l’alternativo e l’elettronico era chiaro, ma che avesse una tale precisione nelle esibizioni live alle cinque di pomeriggio di un festival in cui neanche sei la spalla degli headliner, forse era sconosciuto ai più. Ottima prova anche qui, il pubblico ha reagito molto bene anche se erano in pochi a conoscere ognuno dei brani proposti in scaletta, a parte la famosissima “Symphonies“, tanto famosa da meritare un remix con l’astro nascente della commistione fra rap e musica elettronica, Kid Cudi. Metà pomeriggio ed è il turno dei Glasvegas, band scozzese ormai da otto anni sulla breccia della scena indipendente non solo europea ma anche americana, grazie ad alcuni pezzi inseriti come colonna sonora di alcune serie tv culto negli Stati Uniti. La formazione della band prevede solo due peculiarità, fondamentali per l’impatto con il pubblico: la batterista Jenna Löfgren (suona in piedi e trasmette una carica strabiliante) e James Allan, frontman e vera e propria attrazione. Tra i pezzi eseguiti, sugli scudi “Lots Sometimes” e la memorabile chiusura con la hit (anche in Italia) “Daddy’s Gone“, tratta dal primo dei due album pubblicati, l’omonimo “Glasvegas“.
A seguire, è il turno dei Verdena. La caratteristica più apprezzabile del loro show è stata l’interscambiabilità dei componenti agli strumenti, in grado di creare una continua evoluzione che lascia tutti a bocca aperta, soprattutto se si pensa a quanto dritto e diretto sia il loro suono. Ottima esibizione con molti picchi, anche se “Miglioramento” e “Scegli Me“, nonostante siano appartenenti all’ultimo album uscito ad inizio anno, hanno riscosso grande successo nel pubblico, maggiormente acclamate ed applaudite rispetto a brani ben più consolidati nell’immaginario e nella memoria comune. La vera sorpresa della serata sono i Chromeo, duo electro-funk canadese, composto da P-Thugg e Dave 1 che si dividono, da circa sette anni, tra chitarre, synth, tastiere e talkbox ogni pezzo prodotto. Accolti da un pubblico inizialmente piuttosto freddo, forse a causa della ‘distanza’ a livello di genere musicale rispetto a quello di tutto il festival e forse anche a causa dall’impazienza di vedere gli Strokes dopo ore ed ore di attesa, i Chromeo hanno saputo far ballare tutti, pure l’esercito di zanzare che si nutriva dei poveri presenti. Oltre a tracce storiche come “Tenderoni” e “Needy Girl“, si è passati anche per episodi più recenti come “Night By Night” e “Don’t Turn The Lights On” che, grazie alla presenza ed alla genuinità del sound, hanno fatto passare una buona ora a tutti i presenti (lo spiazzo erboso davanti al palco era ormai stracolmo) che si divertivano a far passare il tempo ed a stemperare la tensione sulle note dei due. Everybody loves Chromeo. Arriva alle 22.50 il momento che tutti stavano aspettando; la prima ed unica data italiana degli Strokes sta prendendo vita mentre si fanno le prime prove dell’impianto luci che accompagnerà la loro esibizione, un attimo di blackout e la band sale sul palco aprendo con “New York City Cops“, pezzo tratto da “Is This It“, che nonostante non sia uno dei loro più grandi successi (commercialmente parlando) riesce a scatenare la folla che intona all’unisono il refrain del ritornello. Julian si presenta, come sempre, con l’inseparabile chiodo scuro, ma si sa che, oltre all’apparenza, gli Strokes live mostrano sempre un distacco da ciò che succede al di là delle transenne, distacco che lo stesso Casablancas cerca di minimizzare con frasi tipo ‘Ciao Milan‘ e ‘Bella Story‘ strappando anche qualche sorriso tra i presenti. La scaletta continua dritta e filata con “Alone Together” e “Reptilia” sino a “Macchu Picchu“, brano d’apertura del nuovo disco “Angles“, uscito pochi mesi fa, che comunque il pubblico apprezza e canta a squarciagola. La differenza di sound tra la prima parte di carriera (“Is This It”, “Room On Fire“) e la seconda (“First Impression Of Earth” e “Angles”) si percepisce anche live, soprattutto per quanto riguarda l’elaborazione e la maturità del sound della band newyorchese. Lo spettacolo continua con “Last Night“, “Taken For A Fool” e “Under Cover of Darkness“, altro singolo trascina folla dall’ultimo album, e poi si parte con l’evergreen “Is This It” seguito da “Whatever Happened” e “Life Is Simple In The Moonlight“. L’esibizione si chiude con “You Only Live Once“, “You’re So Right” e la cattivissima “Take It Or Leave It“. Una menzione particolare va a “Someday“, che nella cornice disegnata dal Castello riesce ad assumere una caratterizzazione propria ed a trasportare il pubblico in un’altra dimensione.
Parlando in questo modo si potrebbe pensare ad un concerto ben fatto ed in cui tutto è filato liscio. Non è così, purtroppo. Dalla prima mezz’ora in poi sono cominciati i primi problemi tecnici; inizialmente si pensava ad una cablatura difettosa, ma infine si è capito (ed anche Casablancas lo ha confermato scusandosi con la folla) che il problema era del generatore, e che quindi la situazione si sarebbe potuta ripetere ancora. Solo tredici pezzi, quindi (dalla scaletta sono stati epurati “Trying Your Luck“, “Automatic Stop“, “Juicebox” e “Under Control“), per un’ora scarsa di esibizione che lascia un po’ insoddisfatti e con l’amaro in bocca gran parte dei presenti, sia per come il gruppo ha abbandonato il palco dopo aver concluso “Take It Or Leave It”, sia per la scarsa capacità organizzativa inerente le questioni tecniche.
Federico Croci. Foto di Rudy Sassano.