Gli Efterklang calano in Italia per la prima volta.
Presentano nel nostro paese l’ultimo lavoro intitolato “Parades”. Il quintetto base si allarga dal vivo ad otto componenti. Si avvale dell’ausilio anche del violino di Peter Broderick. Al giovane americano tocca il compito di aprire la serata. A La Casa 139 di Milano, visto lo spazio, l’arredo, le luci (e ombre) sul palco vince spesso chi riesce a creare un’atmosfera capace di catturare gli astanti. Chi è troppo freddo può far confluire la propria musica negli sbadigli e nell’abbandono del piccolo parterre.
Con Peter Broderick è subito magia. E’ ridicolo pensare che non sbagli una canzone (come Baresi non sbagliava una partita). Tutte perfette. Tutte catchy per melodie, solitudine e rotondità. Suona violino, chitarra, pianoforte mettendo tutto in loop. E in più ci butta dentro anche dei canti e controcanti.
Perfetto negli stacchi e nelle atmosfere che sa creare.
Poi tocca agli Efterklang che si stringono sul piccolo palco in mezzo a duemila strumenti, che durante il concerto continuano a scambiarsi. Chitarre, basso, batteria, percussioni, violino, pianoforte, trombone, tromba, sax, elettronica. Inoltre cantano quasi tutti dandoci dentro con cori reiterati bucolici. La band è capitanata dal cantante-polistrumentista Casper Clausen e probabilmente proprio lui è l’unico neo della loro resa. Troppo cantato, troppa voce messa sulle lande strumentali molte volte appesantisce ed annoia.
Il loro folk è decisamente orchestrale, intimista.
Affascinante. La musica da camera si abbraccia con arrangiamenti passionali e melodramamtici. Più che simili ai Sigur Ros, come certa stampa li aveva descritti, sembrano un po’ new wave sotto voce, Talking Heads senza ispidume. Una buona esperienza di romantiche latitudini provenienti dal Nord Europa.
L.F.