Abbiamo incontrato Jens Ludwig, storico chitarrista degli Edguy, per scambiare qualche battuta sul nuovo disco della band teutonica, “Age Of The Joker“, uscito pochi giorni fa per Nuclear Blast.
Cosa ci puoi dire riguardo al processo di composizione di “Age Of The Djoker”? Ci sono state differenze significative rispetto a quello dei vostri precedenti album?
Fondamentalmente non ci sono state grosse differenze. Sai, il processo di scrittura dei pezzi è un qualcosa di continuo per noi. Non diciamo mai “ehi, oggi scriviamo le nuove canzoni”, non lo facciamo in modo programmato insomma. Piuttosto raccogliamo le idee giorno dopo giorno, e quando non siamo in tour e abbiamo più tempo a disposizione per concentrarci su di esse, cerchiamo di lavorarci al meglio e poi di averle pronte per andare in studio a registrare. E’ successo lo stesso anche per “Age Of The Djoker”, siamo andati in studio, ci siamo incontrati con Sascha Paeth e abbiamo cercato di fare del nostro meglio per registrarle col suo aiuto. Piuttosto le differenze ci sono state proprio nel processo di registrazione: abbiamo deciso che volevamo un sound più organico rispetto al passato, così abbiamo deciso di non utilizzare nessun sample o campionamento, ci siamo concentrati su di un suono più fresco e spontaneo. Per questo abbiamo registrato in un grande studio ad Hannover in cui potevamo utilizzare un’enorme drum – kit, proprio perché il nostro intento era fornire un suono il più organico possibile all’album. E anche spontaneo: ad esempio non avevo mai registrato le parti di chitarra ritmica simultaneamente insieme a Dirk (Sauer, il chitarrista ritmico degli Edguy, ndr.), seduti uno di fianco all’altro, ma è quello che ci siamo sentiti di fare al momento e quindi, per guadagnare in spontaneità, abbiamo deciso che le avremmo registrate così.
“Age Of The Djoker” è sicuramente un album molto vario, forse il più vario della vostra carriera. Sei d’accordo su questo?
Sì, diciamo che uno dei nostri intenti è quello di non fare mai un disco troppo simile all’altro. In un certo senso questo fa parte della ricerca artistica, sforzarsi di fare sempre cose nuove, che piacciano a noi e ai nostri fan, mantenendo però il nostro tocco inconfondibile. Ti faccio un esempio. In “Pandora’s Box” suono per la prima volta nella mia vita la dobro – guitar, che per me è stata una delle scoperte più affascinanti che abbia fatto negli ultimi tempi. Sono andato su internet, ho cercato informazioni su questo strumento, poi l’ho ordinato. E ammetto che quando è arrivato, inizialmente ho avuto problemi per imparare a suonarlo: voglio dire, possiedo circa 25 chitarre, ma una simile non l’avevo mai provata. A parte le sei corde, non ha davvero nulla in comune con una chitarra ‘normale’; si accorda in modo diverso, ha tonalità differenti, e in più la suoni in orizzontale adagiandotela sulle gambe. Il primo giorno non sono riuscito davvero a capirci molto ed ero quasi depresso, perché non riuscivo proprio a suonarla! Poi dopo un paio di giorni andava meglio, e piano piano ho imparato a suonare questo fantastico strumento. Come dicevo prima, questa è una delle sfide che è necessario prendere perché il fare un album non diventi una pura e semplice routine, che è la morte della creatività.
Secondo te c’è qualche canzone nel disco che potrebbe diventare un nuovo classico degli Edguy?
Credo proprio di sì. Sicuramente una potrebbe essere “Robin Hood“, non solo perché si tratta del singolo, di cui tra l’altro abbiamo già realizzato il video, ma soprattutto perché ha un ritornello molto accattivante, in puro stile Edguy, e sono sicuro che si tratta di un pezzo che colpirà il pubblico sin da subito. Poi, oltre a questa, penso che anche tracce come “Nobody’s Hero” o la stessa “Pandora’s Box” abbiano le carte in regola per piacere molto ai nostri fan e per funzionare on stage. E aggiungo anche “Behind The Gates To Midnight World“, che ha un feeling molto epico. Certo adesso è presto per dirlo però, il materiale è ancora troppo fresco per avere il giusto distacco per analizzarlo. Sono tutte canzoni che vogliamo suonare dal vivo, a quel punto vedremo le reazioni che avranno i nostri ascoltatori e capiremo meglio quali sono quelle che hanno più presa in sede live. In ogni caso le chance perché da “Age Of The Joker” escano fuori nuovi classici degli Edguy ci sono tutte, si tratta di un’opera con arrangiamenti molto diversificati e ognuno può trovare episodi che rientrino nei suoi gusti.
Sei uno dei membri fondatori degli Edguy, e ormai siete insieme da quasi vent’anni, con una line – up molto stabile rispetto a quelle di molte altre band. Qual è il segreto della vostra stabilità e del vostro essere così coesi?
Si tratta di una combinazione di amicizia e dell’esser consci di quello che siamo riusciti a realizzare come gruppo. Voglio dire: fare dischi e tour, avere un seguito di pubblico fedele, avere un certo tipo di successo…sono tutte cose che nessuno di noi dà per scontate. Al contrario, sappiamo tutti quanto lavoro ci è voluto per arrivarci e siamo fieri di quello che abbiamo fatto, e per questo motivo cerchiamo di preservare e difendere quello che è il ‘tesoro’ della nostra band. Ovviamente in così tanti anni di carriera abbiamo dovuto affrontare anche noi litigi e tensioni all’interno del gruppo. Ma siamo abbastanza intelligenti per capire che, se ci sono problemi, la cosa migliore da fare è sedersi tutti quanti intorno a un tavolo, parlarne e cercare di risolverli, e per evitare che l’ego di ognuno di noi finisca per distruggere gli Edguy. E’ anche una questione di passione: credo che chi ci veda suonare dal vivo possa intuire che non facciamo tutto questo solo per soldi o per fama, ma soprattutto perché ci piace e ci divertiamo ancora a farlo, anche dopo vent’anni. Comunque, credo che alla fine si tratti solo di senso comune quello di aver capito che i problemi si risolvono parlandone!
Qual è stato l’album della svolta per la vostra carriera, quello dopo il quale tutto è cambiato per voi?
Credo sia stato “Vain Glory Opera“. L’anno prima avevamo pubblicato “Kingdom Of Madness“, che però non aveva ricevuto molta attenzione, così ci sentivamo un po’ frustrati. Però per “Vain Glory Opera” avevamo riservato le idee migliori, e ammetto che per noi è stato fondamentale avere come ospiti speciali in quel disco due fra i musicisti più influenti della scena power di quegli anni: Hansi Kursch dei Blind Guardian e Timo Tolkki degli Stratovarius. Questo ci ha aiutato moltissimo a farci notare, e di conseguenza molta più gente ha scoperto il nostro potenziale e quanto potevamo valere. Poi ovviamente ogni album è importante, non registriamo i dischi dicendo “questo è fondamentale, quest’altro invece non conta granché”. Tutti fanno parte della nostra storia e significano qualcosa, ma è indubbio che la svolta l’abbiamo avuta con “Vain Glory Opera”.
Suoni in un grande gruppo da molti anni ormai, come ti senti quando pensi a questo e a quello che hai raggiunto insieme agli Edguy?
Beh, prima di tutto sono fottutamente felice quando ci penso! E’ scontato dirlo, ma da ragazzino non avrei mai immaginato di pubblicare dischi e andare in tour in grandi stadi suonando prima dei Maiden. Sono felice e anche un po’ orgoglioso, ma a volte il pensiero di tutto questo mi spaventa e mi rende persino un po’ preoccupato. Gli anni passano e noi non stiamo certo ringiovanendo, cosa succederebbe se tutto questo finisse? Non ho mai fatto altro nella mia vita e temo che non sarei in grado di fare altro, quindi se guardo al futuro un po’ di timore non posso reprimerlo. Tuttavia spero che le cose funzionino ancora a lungo e che per i prossimi vent’anni possa continuare ad andare i tour e fare dischi con gli Edguy!
Un’ultima domanda più personale: come chitarrista, quali sono stati i musicisti che più ti hanno influenzato?
I primi in assoluto ad avermi colpito sono stati gli Scorpions, dei quali tra l’altro sono ancora un grandissimo fan, li adoro. Però avevo appena 12 anni e sinceramente non avevo idea di chi suonasse la chitarra e chi la batteria (ride, ndr.). Mi aveva colpito l’atmosfera della loro musica. Poi crescendo, il mio modello al quale mi sono sempre ispirato è stato Kai Hansen, soprattutto per il feeling che riusciva a sprigionare. Non mi hanno mai particolarmente impressionato i chitarristi ipertecnici e iperveloci, gli shredder, come Malmsteen ad esempio. Sai, suonare velocissimo alla fine non è poi così difficile; devi solo provare e provare. Invece suonare con sentimento è ben diverso, è più difficile, ma penso che sia la cosa fondamentale nel rock. Kai Hansen ha proprio questa dote, riesce a farti provare grandi emozioni mentre suona, per questo è stato così importante per me.
Stefano Masnaghetti