Una splendida cornice, un cielo stellato e tantissimi “reduci” degli anni ’70 e ’80 (ma anche un sacco di giovanissimi!), hanno fatto da sfondo alla serata di puro rock svoltasi in quel di Piazzola sul Brenta, dove gli scatenatissimi Europe hanno acceso la folla e infiammato le gole dei più.
Un Joey Tempest in splendida forma (anche fisica, per la gioia delle fans…), ci ha fatto ascoltare la sua splendida voce, purtoppo su pochi classici e su molte canzoni nuove che, seppur coinvolgenti, noi nostalgici non riusciamo a preferire a pezzi più vecchi come “Cherokee”, che ci ha fatto saltare e impazzire!
La criniera di un tempo si è ridimensionata ma l’ugola ha fatto egregiamente il suo dovere e quando dalla chitarra classica è partita la bellissima “Carrie”, tutti sono scivolati in un mare di ricordi. Dopo essersi “ripresi” dalla melodia più romantica, i cinque svedesi hanno chiuso con la canzone che più li ha resi popolari (anche se si distacca notevolmente dai lori primi lavori): “The final countdown”, per la quale anche i sassi hanno cantato a squarciagola!
Avremmo voluto sentire di più ma Tempest e soci dovevano lasciare la scena ad altri pionieri dell’hard rock e dell’heavy, i mitici Whitesnake.
Dopo qualche minuto di silenzio sul paco buio si scorge uno statuario capellone biondo: Coverdale fa il suo ingresso seguito dagli altri (molto più giovani) membri della band. Come presenza scenica e “coreografia”, David non ha niente da invidiare ad altri suoi colleghi (anche se, per quanto io lo ami, fare ancora i giochini con l’asta del microfono è un tantino utopico…), di grinta ne ha da vendere e il repertorio è assolutamente intoccabile, manca però solo un dettaglio: la voce. Chi ama gli Whitesnake ama la voce limpida, spessa e altissima di Dave. In questa serata non se n’è vista neanche l’ombra, tant’è che gli altri cinque lo sostenevano moltissimo nella maggior parte delle strofe. Fortunatamente ci rianimiamo tutti alle prime note di “Here I go again”, pezzo strepitoso che riesce a dare una scossa anche alle corde vocali di Coverdale. Il concerto si conclude con i sei che salutano calorosamente il pubblico che ricambia con affetto ma che avrebbe di certo voluto sentire almeno “Crying in the rain” e “Give me all your love tonight”, due classiconi stupendi che non sarebbero duvuti mancare.
Valeria Marchese
Un paio di righe veloci sulla serata di ieri sera, lascio spazio ai miei colleghi per gli approfondimenti su ognuna delle tre band che, sulla carta, ci avrebbero dovuto garantire una serata di grande hard rock.
I Tigertailz, non ditelo in giro, han fatto veramente pena. Riescono ad attirare, con le loro canzoni, una minoranza glamster accorsa esclusivamente per loro e con una “Ace of Spades”, messa veramente a caso, anche parte del resto del pubblico. Per il sottoscritto, l’apice del concerto è stato il panino con pane e salsiccia veneta (di prima qualità) durante il live. Bocciati.
Gli Europe vincono di gran lunga la palma di miglior band della serata: tutti in palla (anche se Tempest, a metà concerto, arranca un pochino), peccato per i suoni osceni e la scaletta deludente, basata su troppe canzoni dell’ultimo disco, pochi classici (“Seven doors hotel” saltata a piè pari, tra le tante) e zero sorprese.
Whitesnake il contrario, o quasi: scaletta da panico, band di supporto praticamente perfetta, sia a livello strumentale, sia a livello di “backing vocals”. All’appello manca Coverdale: finito, bollito, con la voce ridotta a pochissimi sprazzi di classe (una “Here I go again” da paura) alternati a fin troppi momenti patetici. Aggiungete il fatto che, con le sue mossette e le sculettate non sembra più un playboy ma un anziano di una casa di riposo perennemente arrapato…
Nicola Lucchetta