Rockin Field Fest – Idroscalo, Milano 26 luglio 2008

Foto di Marco Ferrari

L’Italia dei festival estivi ha subito, oggi, un duro colpo alla sua reputazione, l’ennesimo. Tobias Sammet porta la carovana Avantasia all’Idroscalo di Milano e la risposta del pubblico non soltanto è insufficiente, ma quasi offensiva agli occhi di artisti che, ad ogni modo, hanno saputo rendere onore al proprio blasone.

Lo stesso Sammet, tra il divertito e lo sconsolato, ha provato a prenderci in giro parlando di quindicimila presenze quando il parco non conterà più di duemila, duemilacinquecento unità al seguito ad essere ultra-ottimisti.
Spiace per gli artisti e spiace per la Barley Arts che ha organizzato discretamente bene il festival ma è bene evidenziare la veridicità di una leggenda metropolitana trasformatasi ormai in pura realtà: gli italiani si spostano se sul palco salgono gli Iron Maiden, i Metallica, tutto il resto è contorno che sfuma.
Non ci si sorprenda allora, se Jorn Lande durante il concerto parla del caliente pubblico spagnolo e se l’invito è quello di presentarsi al Wacken Open Air, in Germania, purtroppo non siamo un esempio, o almeno, non lo siamo più.

Premessa doverosa che mi consente di trasmettere tutto il disappunto per una risposta deludente da imputare forse ai tanti, troppi festival ravvicinati, al prezzo dei biglietti (contenuto quello del Rockin Field), alle vacanze estive e alla svogliatezza del nostro pubblico metallaro. Converrà davvero metterne in piedi una seconda edizione?

Veniamo a noi. Il caldo milanese impensierisce ma non danneggia, di tanto in tanto qualche nuvola copre il sole e da tregua anche se in lontananza si intravedono nuvole piuttosto minacciose. Il mio arrivo coincide con l’inizio dello show dei Threshold, e le primissime impressioni raccolte sul “campo” sottolineano l’ottimo stato di forma degli Eluveitie, di cui francamente non dubitavo, e la prestazione un po’ anonima dei Biomechanical.
Torniamo ai Threshold e al loro prog-thrash tecnico e violento: ottima la prova del chitarrista Karl Gloom, un po’ meno buona quella del nuovo vocalist Damian Wilson per un repertorio che spazia in tutta la discografia dei britannici con particolare accezione per l’ultimo fortunato Dead Reckoning.
E’ il turno degli attesi Vision Divine di Olaf Thorsen, che regalano un’ora abbondante di buona musica e presentano, anzi, ripresentano il redivivo Fabio Lione (Rhapsody Of Fire) al microfono: bene la sua performance sui pezzi più vecchi, vedi Vision Divine e Send Me An Angel, non sussiste invece il paragone con l’ex Michele Luppi (a favore di quest’ultimo naturalmente) sui brani da Stream Of Consciousness in poi, e si è vista anche qualche lacrimuccia per l’inspiegabile assenza de “La Vita Fugge”. Buoni i suoni e i volumi ma scaletta da rivedere completamente.
L’effetto cinematografico converge con l’attacco degli Epica, un acquazzone deciso e interminabile ha annichilito i presenti che si sono riversati sotto un tendone distante trecento metri dal palco e che ha prodotto il seguente risultato: Epica sul palco a svolgere il compito prefisso, una cinquantina di pazzi sul parterre a prendere acqua e il resto in lontananza a mangiarsi panino e pizza. Così fino alla fine del concerto. Che senso ha mantenere inalterati scaletta e show? Gli Epica è come se fossero scesi in Italia per fare le prove di un altro concerto: pessimismo e fastidio.

Fortunatamente il temporale si sposta altrove e possiamo raccontarvi di un gruppo, gli Helloween, che si è portato sulle spalle il fardello di un festival sino a qui abbastanza deludente e ha trasformato una giornata semi-anonima in un momento da ricordare. Grande, grandissima prova quella dei tedeschi e, udite udite, quella di un Andy Deris in forma “campionato”, spettacolare nei movimenti sul palco e praticamente perfetto, Eagle Fly Free esclusa, col microfono. Una epica March Of Time e il gustosissimo medley di I Can, A Perfect Gentleman, Rain Grows, Power e Keeper Of The 7 Keys fanno da contrasto ai pezzi più mainstream tra i quali riportiamo If I Could Fly e la più giovane As Long As I Fall. Trascinante come sempre Dr. Stein e finale di lusso con la superba Future World. Helloween a livello persino superiore del recente Hellish Rock Tour condiviso coi Gamma Ray di Kai Hansen.

Chiude il festival lo schizofrenico Tobias Sammet e la spedizione griffata Avantasia: quando ci ricapiterà di vedere sullo stesso palco e nello stesso istante artisti del calibro di Jorn Lande, Andrè Matos, Bob Catley, Oliver Hartmann, Amanda Somerville e tutti gli altri?
Fatto sta che lo spettacolo ha assunto la forma di un evento seguito dai pochi (ma buoni) che hanno avuto la fortuna di assistere ad un Tobias Sammet sempre più rockstar, fantastico il trench a corredo, eccezionali i movimenti e la solita attitudine a prendere in mano il pubblico e a caricarlo fino a farlo esplodere nel coro di Twisted Mind. E’ The Scarecrow, la title track dal flavour celtico del terzo episodio a cambiare il corso del Rockin Field Fest, il duetto Jorn Lande & Tobias Sammet è da manuale del rock e la gente assiste commossa e allo stesso tempo galvanizzata. Lande, che pare avere il microfono un po’ più basso rispetto a quello di Sammet, sotterra letteralmente tutti i suoi colleghi con la voce roca e irresistibile, qui e su Another Angel Down. Matos è stato chiamato anche per colmare la lacuna Kiske ma l’impressione è quella di qualche problema al microfono perché la voce va e viene, e quando c’è è a un volume fin troppo basso per i suoi standard. Bob Catley fa l’ingresso durante la “sua” The Story Ain’t Over, i movimenti sono quelli di sempre e non ha perso quel fare da star che riconosciamo soltanto ai grandi. Tanto, quasi tutto dal terzo capitolo della saga, pochi gli estratti dal passato ma non si sono fatte attendere le immancabili Reach Out For The Light, in duetto con Matos, Avantasia, la splendida ballata Farewell in compartecipazione con Amanda Somerville e il finale di Sign Of The Cross con annesso il coro di The Seven Angels: tutto il cast contemporaneamente sul palco come fossimo a teatro… per un epilogo dalle grandi emozioni.

Tolto il “tragico” cappello introduttivo, raccolgo gli ultimi pensieri per ringraziare Barley Arts che ci ha fornito la ghiotta occasione e che, purtroppo, come confermato dallo stesso Tobias Sammet, non si ripresenterà: altri due festival all’estero e Avantasia chiuderà i battenti dal vivo. Peccato, e rinnovo il mio disappunto, per la magra figura in termini di presenze: un evento del genere meritava una folla copiosa, non una macchietta semi-invisibile.

Gaetano Loffredo

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