St Vincent Strange Mercy

Annie Clark, in arte St. Vincent, ha proprio tutte le carte in regola come artista: laureatasi al rinomato Berklee College Of Music, ha in seguito accompagnato la Polyphonic Spree Orchestra per un certo periodo di tempo, fino ai primi EP, le pubblicazioni, le aperture agli Arcade Fire, le collaborazioni con Bon Iver. Niente male come quadro iniziale. Nel 2007 esce Marry Me, il suo anthem e disco-rivelazione. E’ allora che la fama della giovane cantante polistrumentista di Tulsa (Oklahoma) è salita vertiginosamente. Ora, dopo anni di concerti e la pubblicazione nel mezzo del secondo album Actor, la Clark si ripresenta sulle scene col terzo disco in studio, Strange Mercy.

L’album continua in parte il lavoro già iniziato dal predecessore, ma vengono maggiormente sottolineate le peculiarità tra l’architettura pop barocca tipica della cantante e il background post-punk, soprattutto per la sezione musicale. Esemplare a tal proposito la traccia d’apertura Chloe In The Afternoon, dove i richiami bjorkiani si intrecciano con le chitarre ruvide  e i battiti non regolari. Groove elettronici inoltre anche per l’accattivante Cruel e Historical Strenght.

Al contrario sono le chitarre a farla da padrone in Northern Lights e nella folgorante Surgeon, con la sua struttura in progressione: dalla prima parte melodica alla stordente coda elettronica del finale. Infine un occhio di riguardo va riservato alla title-track, dai toni tenui e opachi, trasportata dalla voce appena sussurrata della Clark che si apre negli splendidi ritornelli. Una prova di maturità – e di continuità – per un’artista pressoché completa, che  ha – per fortuna – ancora notevoli margini di miglioramento.

Andrea Suverato

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