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Tornano gli irlandesi The Script. Finito il ciclo serrato del debutto (2008), è ora di proporre nuovo materiale. La band è stata una delle rivelazioni più interessanti del pop rock degli ultimi anni: ha un frontman belloccio con una voce riconoscibile, ha un sacco di esperienza in sala di registrazione, sa come si costruisce un pezzo pop. Forse questa eccessiva pedanteria nel ‘costruire’ più che nel ‘creare’ è proprio il tallone d’Achille del gruppo. Le coordinate sono sempre le stesse: pop rock più raffinato della media (guai a confonderli con le boyband), U2ismi sottili sottili, storie su storie di vita quotidiana, ritornelli ammalianti.
Il guaio è che la band è così concentrata sulla sua formula da pezzo pop perfetto da tirare fuori un disco troppo omogeneo. Il disco soffre ancora di più quando non imbragano il ritornello giusto…a quel punto il pezzo esce così velocemente dalla testa manco avesse il telepass. Tanto fumo e poco arrosto quindi: la batteria scandisce bene il ritmo, ci sono le chitarrine arpeggiate e melodia ovunque ma al quarto pezzo si è già tornati al punto di partenza! Addirittura si ripete uno schema ciclico nel disco, con parti simili (vedi i mezzi rap) sparsi in punti chiave del disco.
Poi diciamoci la verità: saranno verbosi e sofisticati ma Danny O’Donoghue non ha la faccia di quello che soffre per la disoccupazione o per fallimenti in generale…quindi, diciamo, manca un po’ di credibilità quando cerca di strapparci le lacrime. Molto meglio il primo disco; questo è buono per chi è fan di Danny e ha la memoria corta: alla fine è orecchiabilissimo ma è tutta roba già sentita di recente.
Marco Brambilla