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A fine Novembre verrà presentata la prima opera sola di Little’ Gérard L’Her con il titolo di “A Perfect World”. Ai più, e soprattutto ai più giovani, un nome di questo tipo non dice praticamente nulla. Eppure tutti si ricorderanno di quella insolita performance degli Elio e Le Storie Tese al festival di Sanremo, nel quale arrivarono secondi, dove si presentarono completamente argentati vestiti come se dovessero partire per un viaggio interspaziale. Ebbene quella era solo una delle tantissime citazioni ricorrenti nel repertorio della band milanese che rispolverava dallo stanzino dei ricordi una band dallo spirito marcatamente anni ’80, i The Rockets.
Tutine argentate, teste rasate e argentate anch’ esse, facce smorfiose, voci distorte e suoni elettronici al limite della querela penale. Affiancati per la somiglianza sonora ai Kraftwerk, Little’ Gérard L’Her non era che il bassista ed eclettico cantante di questa formazione, il quale dopo anni di silenzio artistico decide di riprendere l’attività nella quale aveva avuto un discreto successo e tornare dietro a un microfono.
A Perfect World rappresenta un po’ la riscossa e la rivincita di Little’ Gérard, e lo fa in un modo decisamente personale. Non si lascia traviare dalle moderne influenze o dai più recenti indirizzi, ma si limita a riproporre una versione, giustamente a mio avviso, aggiornata di quanto avrebbe potuto fare con gli stessi The Rockets.
Il disco sembra un rimasuglio di repertorio di fine anni 80, quando si sarebbe potuto trovare sullo stesso scaffale The Wall nella versione di Roger Waters, e a tratti sembra proprio di rivivere quelle atmosfere da vigilia della caduta del muro di Berlino cosi bene raccontate dallo stesso Waters gia a partire da Radio K.A.O.S (1987, ndr).
Sembra però apprezzabile l’intento di mantenere una certa genuinità nella realizzazione del disco: un lavoro che mantiene dei tratti di unicità e di riconoscibilità e che per questo motivo insinua il positivo dubbio che alla base della decisione di cominciare una carriera solista non ci siano mere ragioni economiche ma ben più virtuose tensioni artistiche.
Francesco Casati