Vicarious – Jambi – Wings For Marie (Pt. 1) – 10,000 Days (Wings Pt. 2) – The Pot – Lipan Conjuring – Lost Keys (Blame Hofmann) – Rosetta Stoned – Intension – Right In Two – Viginti Tres
Comunque li si giudichi, il più grande gruppo rock degli ultimi dieci anni oppure dei gran sopravvalutati, è innegabile rendere merito ai Tool per il recupero di suggestioni psichedeliche e progressive tipiche di qualche decennio fa, inserite però in un contesto moderno e quanto mai attuale, a differenza del citazionismo pedissequo di un gruppo come Mars Volta. Partiti da suggestioni soundgardeniane e inseriti frettolosamente nel calderone grunge, grazie ad un disco oscuro e pessimista come “Undertow”, nel corso della loro carriera hanno saputo progredire album dopo album e porsi prima come una sorta di novelli Van Der Graaf Generator, dai quali hanno mutuato angosce esistenziali e suoni cupi e gotici (cfr. “Aenima”), successivamente quali unici possibili eredi dei King Crimson, accentuando la complessità delle composizioni e la perizia strumentale, e indulgendo ancor di più verso un immaginario malato e scosso da visioni apocalittiche e claustrofobiche (cfr. “Lateralus”, il loro capolavoro). Dopo cinque anni di attesa, e dopo molto tempo dedicato dal leader Maynard Keenan al suo gruppo personale, gli A Perfect Circe, il ritorno dei Tool suona come una battuta d’arresto nella loro evoluzione sonora. La struttura di “10,000 Days” richiama inequivocabilmente quella del predecessore: brani “free – form” che sfociano l’uno nell’altro, lunghe digressioni psichedelico/progressive concluse da momenti catartico/liberatori (cfr. il coro finale di “Vicarious”), jam estese che incorporano elementi percussivi e consuete salmodie vocali (cfr. la title – track), il tandem ritmico Chancellor – Carey che come sempre costituisce il cuore pulsante del loro fluire musicale, sopra il quale s’inseriscono gli spunti solistici della chitarra di Adam Jones, sempre più acidi e sghembi (cfr. il wah – wah di “Jambi”). In sintesi un’opera che sfrutta l’architettura di “Lateralus”, ma con suoni spesso maggiormente vicini a “Aenima”, più metallici e meno levigati (crf. “Rosetta Stoned”). Si potrebbe andare avanti nel sezionare questo disco per molte righe ancora, ma senza eccedere in minuzie è palese notare uno sguardo rivolto quasi interamente al loro passato, una mancanza di elementi inaspettati che rappresenta il maggior limite di “10,000 Days”. Oltre a ciò, tocca rilevare anche un’eccessiva freddezza compositiva e un accentuato grado di supponenza tecnica, che non è più controbilanciato dai meravigliosi climax emotivi presenti nelle loro vecchie opere: o perlomeno, le undici mini – suite che compongono il disco scorrono più uniformi e con meno sussulti rispetto a quanto ci avevano abituati, senza per questo voler ridurre il tutto a mero sfoggio di bravura strumentale. Ormai i Tool hanno un loro stile, un loro lessico musicale ben definito, e sfruttano quello per comporre album più che buoni, a tratti ottimi e memori del loro passato splendore. Ma probabilmente “Aenima” e “Lateralus” rimarranno ineguagliati, in quanto dischi irripetibili, mentre “10,000 Days” può esser replicato più facilmente.
S.M.