Aeropause – Goshens Remains – Apprentice – The Bright Ambassadors Of Morning – Nimos & Timbos – a) Voices in Winter b) In The Realms Of The Divine – Bullitts Dominae – a) Arrival b) The Intention Craft – a) He Tried To Show Them Magic b) Ambassadors Return
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Drizzate le antenne, questo lavoro si candida ad essere uno dei dischi dell’anno (almeno una volta entro marzo bisogna pur dirlo!).
Non è facile parlare della musica dei Pure Reason Revolution (Rivoluzione della Ragion Pura, di ispirazione kantiana), perchè riescono fin dal debutto ad avere una personalità piuttosto spiccata, e hanno il coraggio di osare. Questo non sempre significa darsi alla pazza sperimentazione; in questo caso i nostri osano ispirarsi in maniera più o meno conclamata ai Pink Floyd più sinfonici. Si, ai peggiori Pink Floyd, è vero, ma nonostante questo la musica qui proposta non è fredda, patinata o distaccata, ma riesce a coinvolgere in maniera soffice e avvolgente, e ovviamente c’è molto altro.
Gli arrangiamenti sono veramente eccezionali, con archi, percussioni, tastiere, tappeti sonori incantevoli, e melodia sempre in primo piano, grazie alle ottime interpretazioni dei due cantanti, un uomo e una donna. Molto utilizzati i contrappunti vocali, a ricordare a tratti il progressive inglese anni ’70 (Gentle Giant), e in altri momenti incarnazioni più moderne di quel suono, come gli Spock’s Beard.
Il tutto attualizzato senza forzature, con qualche spruzzata di elettronica alla Radiohead che non disturba, anzi completa e armonizza l’insieme.
I pezzi sono tutti avvolgenti e melodici, il suono assolutamente pieno e barocco, gli arrangiamenti ricchissimi di strati. Emblematica per descrivere il disco l’accoppiata formata da “Bright Ambassadors Of Morning”, in cui le chitarre prendono il sopravvento e la trama si fa più dura con un incedere ipnotico e circolare, che sfuma direttamente al pop di “The Exact Colour” con linee vocali che ricordano i Red Hot Chili Peppers più piacioni, pur se gli arrangiamenti proprio non riescono a mantenere l’iniziale minimalismo e sfociano in tappeti di archi, che potrebbero arrivare da un disco di Sufjan Stevens.
Insomma un disco ricchissimo di spunti e di idee, suonato e arrangiato in maniera eccezionale, pieno di stratificazioni, di complessità mai troppo cerebrali, di melodie mai troppo scontate, in definitiva di classe. Da avere.
S.R.