Wake – Given Up – Leave Out All The Rest – Bleed It Out – Shadow Of The Day – What I’ve Done – Hands Held High – No More Sorrow – Valentine’s Day – In Between – In Pieces – The Little Things Give You Away
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E questo è un bel pacco signori miei! I Linkin Park tornano sulle scene dopo diverso tempo e rilasciano un disco che non è sbagliato definire come il più atteso dell’anno nel campo rock mainstream. Proprio nella sua essenza ‘di massa’ in realtà è un prodotto ottimamente confezionato, bilanciato tra brani più sostenuti (pochi) e momenti tranquilli, lenti ed estremamente zuccherosi (troppi).
L’opener “Given Up”, successiva all’intro, è uno dei migliori momenti del lotto: lontana dai pezzi ‘pestati-rappati’ di “Hybrid Theory”, e dotata di un groove che le permetterà di fare morti e feriti all’inizio dei numerosi eventi che vedranno i ragazzi on stage sui palchi di mezzo mondo. Si nota subito la produzione leccata e ben patinata, che tiene rigorosamente lontane le distorsioni più rumorose anche quando queste sono presenti nei ritornelli, inoltre la linearità e l’omogeneità delle composizioni sarà confermata dai successivi passaggi.
“Leave Out All The Rest” invece è l’altra faccia della medaglia, melodia burrosa e ritmi da sonno profondo.
E basta.
L’ascolto potrebbe fermarsi benissimo qui, dato che nelle successive tracce non troverete nessuno spunto differente da quanto udito nei primi otto minuti di album. Oddio c’è “Shadow Of The Day”, vagamente ispirata agli U2, che potrebbe essere un manifesto efficace di “Minutes To Midnight”, ma preferiamo sconsigliarvi di tentare di restare svegli per una lagna inumana di quasi cinque minuti. “Bleed It Out” è probabilmente un outtake di un cazzeggio successivo a una recording session (fosse così sarebbe anche giustificabile), con qualche parente che tiene il ritmo sullo sfondo. “What I’ve Done” è il singolo apripista e nel piattume del platter, sbilanciamoci parlando di episodio riuscito. “Hands Held High” è un altro efficace sonnifero, si rappa su una base patetica, il testo è di quelli che si definiscono “impegnati” e sarebbe stato meglio recitarlo senza musica se proprio c’era la volontà di proporlo ai propri aficionados (che devono esserlo proprio tanto per non chiedere indietro all’istante i 20 euro di spesa per il cd). “No More Sorrow” è l’unico brano lontanamente heavy della release, l’unico che vede perlomeno un riff che lo sorregge dall’inizio alla fine. “Valentine’s Day” sfigurerebbe anche come b-side, “In Between” (ma perché non hanno inciso un unplugged? Avrebbe avuto più senso…) è indefinibilmente brutta. “The Little Things Give You Away” prosegue sulla falsa riga delle precedenti, peccato duri quanto le due di cui sopra messe insieme, un’impresa arrivare in fondo. “In Pieces”, che contiene anche un assolo di chitarra(!), fa finalmente tirare un sospiro di sollievo: è finita…
Ai LP cambierà poco, il loro status di rockstar verrà presumibilmente ancora più incrementato da una release davvero poco ispirata. Flop.
P.S.
Sarò brutale: non darò il 6 politico al nuovo album dei Linkin Park solo perchè hanno venduto milionate di dischi. Se “Hybrid Theory” era bello, il secondo carino, questo “Minutes To Midnight” è brutto. I sei ragazzi hanno voluto cambiare sonorità come loro stessi affermano, hanno voluto rischiare e gli è andata male: l’album suona ammorbidito, attutito, come se girasse col freno tirato; insomma, tutta un’altra storia rispetto ai due dischi precedenti. Già dal singolo di lancio “What I’ve Done” si capiscono molte cose e i dubbi aumentano sentendo due pezzi lenti nei primi cinque brani (uno bastava per tutto il disco). Si salvano i primi brani (intro esclusa) “Given Up” e “Bleed It Out” perché ricordano i Linkin alla vecchia maniera con pezzi veloci, brevi, Chester che canta da incazzato e le parti rappate; insomma si sente quello che piaceva dei Linkin Park.
Il resto dell’album va via piatto con momenti che non lasciano il segno (con cori religiosi e nanana canticchiati nei ritornelli…) dove il cantante sembra tenersi dentro la rabbia e riesce a trasmettere solo tanta malinconia e poco altro. Peccato, la delusione è stata grande, probabilmente in proporzione a quanto era atteso questo album.
A.M.