Let it roll – She mine – Get out the door – She builds quick machines – The last fight – Pills, demons & etc. – American man – Mary Mary – Just sixteen – Can’t get it out of my head – For a brother Spay – Gravedancer.
www.velvetrevolver.com
www.rcarecords.com
Come auspicabile, i Velvet Revolver hanno smesso di essere l’unione di due super gruppi per diventare finalmente qualcosa di unico e compatto.
Già l’EP “Liberty And The Tiranny” aveva fatto capire che potevamo aspettarci grandi cose dal successore di “Contraband” e così è stato. “Libertad” è sporco quanto basta, con testi che toccano i più svariati temi: dall’onnipresente problema di Weiland con le droghe a tematiche più universali, come la sempre maggiore mancanza di libertà. Il disco inoltre è supportato da una base ritmica precisa e potente, nonché dalla classe immensa di un certo Slash.
Weiland stesso, considerato spesso il corpo estraneo del combo, pare più che mai integrato e la battaglia vinta contro le dipendenze, che gli hanno recentemente portato via il fratello, ha reso il suo cantato di maggior impatto e le sue performance impeccabili. Forse lo spettro di Axl ci metterà ancora un po’ a scomparire, ma molto probabilmente, dopo questo disco, molti smetteranno di aspettare invano “Chinese Democracy”…Long Live Rock And Roll.
L.G.
Con il precedente Contraband (2004) la band era riuscita a creare un hype mostruoso, debuttando al n°1 in America, e vendere almeno due milioni di copie. Peccato che tutto il mondo ci sia cascato per via della sete inesauribile di Guns’n’Roses e dell’inconsistenza di Axl Rose. A freddo, però, il debutto giocava tutte le sue carte migliori. Pur non essendo un disco esageratamente graffiante, l’esperienza di Duff, Slash e Matt (ex Guns) insieme a Scott Weiland (ex Stone Temple Pilots) era riuscita a comporre dei pezzi davvero sopra la media (‘Sucker Train Blues’, ‘Big Machine’ e ‘Falling To Pieces’ su tutti), creando un album estremamente godibile, pur accettando di dimenticare il glorioso passato.
E ora le cose come vanno? Male. Pur essendo un miracolo che tali teste calde siano rimaste insieme per un secondo album, il risultato è decisamente fiacco. Suoni ancora più puliti, ritmi sempre tranquilli e songwriting al minimo sindacale. Insomma, è venuto fuori l’abum di pop rock che avevano promesso di NON fare. Siamo lontani anni luce da basso sferragliante di ‘It’s So Easy’, scordatevi la chitarra abrasiva di Slash con i suoi assoli epici, pure Scott canta da bravo ragazzo!
Dire che qualcosa si muove a partire con ‘Just Sixteen’, ‘Spay’ e con una bella ballad anni ’80 come ‘Gravedancer’ nel finale è, come si suol dire, ‘troppo poco, troppo tardi’. Da evitare, a meno che vogliate pagare loro da mangiare…e a guardare i video direi che ne hanno bisogno.
M.B.