Aberinkula – Metatron – Ilyena – Wax Simulacra – Goliath – Tourniquet Man – Cavalettas – Agadez – Askepios – Ouroboros – Soothsayer – Conjugal Burns
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I Mars Volta sono il classico esempio di gruppo capace di spaccare in due pubblico e critica: da una parte vi sono coloro che li considerano i degni eredi dei grandi gruppi progressivi dei Settanta, King Crimson in testa, mentre l’altro schieramento li ritiene, tutt’al più, dei plagiatori con ben poco da dire. Fin dal loro esordio è stato così, e presumo che le due fazioni si scontreranno anche nel giudicare quest’ultimo disco. Che in realtà non è malaccio, anzi è tra le cose migliori che i due ex At The Drive – In abbiano mai composto; sicuramente un notevole passo avanti rispetto al confuso e claudicante “Amputechture”.
“The Bedlam In Goliath” riprende il discorso iniziato con “Frances The Mute”, ossia l’interazione tra elettronica moderna, spunti noise e corpose citazioni di mostri sacri quali Santana, Yes, Mahavishnu Orchestra, Jethro Tull, oltre agli onnipresenti Re Cremisi: il risultato finale è forse più convincente dello stesso Frances, troppo sbilanciato a favore di sonorità latino – americane spesso troppo scontate. Al contrario, il nuovo album, nonostante i consueti problemi di prolissità che da sempre accompagnano i Mars Volta (75 minuti di durata, questa volta), riesce ad amalgamare meglio le varie componenti musicali: dalla fusion di “Aberinkula” si passa alla più aggressiva “Metraton”, che ricorda gli esordi di “De – Loused In The Comatorium”, per poi proseguire con l’hard rock psichedelico di “Goliath”, i virtuosismi di “Cavalettas” e “Agadez”, le orchestrazioni sinfoniche di “Askepios” (indubbiamente debitrici di un altro monumento del progressive, i francesi Magma), fino a giungere alle trame orientaleggianti di “Soothsayer”, sorta di tributo agli Agitation Free.
Come sempre, per orientarsi nel calderone sonoro dei Nostri è necessaria molta pazienza: la consueta perizia tecnica è spesso sporcata da una produzione non del tutto appropriata, con le percussioni eccessivamente in primo piano; la voce di Zavala continua ad essere il vero punto debole del complesso, troppo acuta ed irritante com’è; ed infine, sebbene io stesso consideri i Mars Volta qualcosa di più di una semplice band di nostalgici, c’è da dire che i riferimenti al passato continuano ad essere troppi e troppo palesi, tanto da non permettere ai dodici brani di ritagliarsi uno spazio veramente autonomo ed originale.
Quello che rimane è, comunque, un disco più che discreto: se poi si è loro fan, il disco diviene addirittura impedibile, specie se paragonato al suo fallimentare predecessore.
S.M.
Il quarto album in studio per The Mars Volta, The Bedlam in Goliath, promette di inasprire ancor di più il dibattito tra sostenitori e detrattori della band americana, portabandiera moderna dell’eclettismo e della contaminazione musicale.
Dopo il discusso Amputechture, i nostri si ripresentano in una forma più compatta, cercando (a mio avviso riuscendovi) di dare una minima regolata alle progressioni musicali tipiche dell’ensamble multietnico capitanato dalla coppia Cedric Bixler Zavala e Omar Rodrigues-Lopez, guidando maggiormente il songwriting e dando una più evidente impronta logica al tutto. Una regolata che non ha pregiudicato lo stile a dir poco poliedrico dei Mars Volta, ma che ha permesso loro di definire meglio i brani, presentandoli per la prima volta come canzoni “quasi” normali, in cui si possono apprezzare e riconoscere le varie parti, ritornelli, cori, strofe e quant’altro senza per questo trovarsi dinnanzi a un prodotto arido e privo di idee, tutt’altro.
Ovviamente il peso di quel “quasi” che avete appena letto è di un valore musicalmente molto difficile da pesare, attorno a cui verte tutta la comprensione di The Bedlam in Goliath. Infatti risulta estremamente arduo definire brani quasi normali perle come le travolgenti Metatron, Goliath o Cavalettas, imprevedibili e incalzanti, su cui si snodano via via i vari atti di un’opera musicale che abbraccia un po’ tutto lo spettro delle sensazioni che un disco può suscitare. Progressive, hard rock, elettronica, melodie elegantissime, stacchi vigorosi e inaspettati, motivi dal gusto latino e sentori mediorientali, improvvisazioni di violini e violoncelli, strumenti a fiato, assoli fulminanti, ecc… Potrei continuare ancora per qualche riga a elencare quello che potrete trovare in The Bedlam in Goliath, sminuendo di conseguenza un lavoro che va preso per quello che è, senza cercare di racchiuderlo in schemi troppo rigidi, lasciandosi semplicemente trasportare dal flusso. A condurci in quello che è concept a dir poco stravagante, (legato al ritrovamento da parte di Omar di una tavoletta ouija durante un suo viaggio a Gerusalemme, donata poi a Cedric, dalla quale ne avrebbe tratto ispirazione), spiccano sempre i due pilastri della band, e il nuovo batterista Thomas Pridgen (pazzesco), riuscendo a risollevare e rendere comunque godibili quelli che sono i lievi difetti “cronici” dei The Mars Volta, ovvero quei frangenti dettati più dalla voglia di creare senza limiti, in cui l’alchimia stenta leggermente a decollare, relegati fortunatamente solo agli ultimi minuti del disco.
Onanismo musicale, mirabili costruzioni senza cuore, mera esibizione tecnica, strutture inconcludenti… Più ascolto The Bedlam in Goliath (che vede ancora la partecipazione di John Frusciante) e più mi rendo conto che le critiche mosse ai The Mars Volta sono, per lo più, guidate da una forma di pregiudizio più che da reali fondamenta, nei confronti di uno dei pochi gruppi di oggi che crea musica per il piacere di farlo, seguendo unicamente la propria visionaria ispirazione, che tocca il cuore e fa viaggiare la mente. Musica con la “M” maiuscola.
Stefano Risso