Scrivere dei Notwist potrebbe essere la cosa più semplice del mondo: bravissimi. Fine. Poi però mi ricordo che devo riempire 2000 battute. Fa talmente freddo che la voglia di mettere il naso fuori casa è davvero poca, poi penso che i Notwist sono la band giusta per scaldarmi un po’ il corpo e soprattutto il cuore. La location prescelta per il concerto sono i Magazzini Generali, gente in fila non ce n’è molta e un po’ la cosa mi disturba, che qui ho assistito a live di band piuttosto scarse che solo perché erano il “gruppo del momento” hanno fatto si che questo posto si trasformasse in una scatola di sardine, ma si sa che di musica non è che ci capiamo poi molto.
Tedeschi che cantanto in inglese, i Notwist hanno una quarantina d’anni e fanno musica da più della metà dei loro anni. Hanno all’attivo 6 album più una colonna sonora e definire il loro genere è difficilissimo: partiti dall’indie-rock arrivano all’elettronica, passano per il post-rock e sfociano in un insieme di tutto accompagnato da una voglia di sperimentazione che è rappresentata dall’innumerevole quantità di strumenti sul palco, tra i quali un grande xilofono. Il frontman Markus Acher è un personaggio strano, uno di quelli che sembra saltato fuori da un libro di Harry Potter, con gli occhialetti da vista e una prosperosa barba. A vederlo potresti scambiarlo per uno che è passato lì per caso, o per il tipo che strappa i biglietti all’ingresso. Chi non li conosce si perde una grande, importante e soprattutto bellissima parte di musica.
La band pesca brani da tutti gli album, da “The Devil, You+Me” a “Neon Golden”, da “12” a “Shrink” e quindi ecco una carrellata di Gone Gone Gone, Gravity, Gloomy Planets, e ancora Pilot e This Room…e io mi accorgo con sommo piacere che la folla si è moltiplicata e adesso si che siamo il pubblico che una band del genere merita. Personalmente attendo trepidante Consequence, quella che sul disco mi fa piangere tutte le lacrime del mondo. Arriva in chiusura e mi rendo conto che la stavano aspettando tutti. Non c’è una persona che non la canti, non c’è una persona che non abbia gli occhi fissi verso il palco, io quel “leave me paralyzed, love” me lo ricorderò per tutta la vita. Dirò una cosa impopolare e probabilmente che poco si intona con quello che ho scritto finora: verso la fine dello show ho iniziato a sentire una certa pesantezza, una certa noia. Show di quasi due ore, con il gruppo che non accenna mai a un saluto o a un contatto col pubblico (per alcuni è proprio questo il punto forte del live)…discutibile…
Denise D’Angelilli
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