…And I – Fluid Hollow – Unlock The Door – Christmas – Berlin – After The Wave – Broken Glasses – Crumbled From Stars
Sito ufficiale della band
Etichetta discografica
Nahui è il nome del progetto solistico di Luca Giancotti, musicista romano già attivo negli anni Novanta con un gruppo death – thrash chiamato Die, che ultimamente si è distinto per aver suonato il basso in “Twilight In The Desert”, ossia il buon debut album dei Black Rainbows, band stoner rock anch’essa capitolina.
I suoi trascorsi svelano subito la natura curiosa ed eclettica del personaggio, che questo “A Blue Fire”, primo disco ufficiale della sua one man band, non fa che confermare. Si tratta, infatti, di un particolare connubio avente come principali riferimenti gli ultimi Anathema (specialmente quelli di “A Fine Day To Exit”), certi guizzi hard cari a Soundgarden e Screaming Trees (ma meno veementi, più leggeri e malinconici), passaggi dall’evidente aroma prog (mi vengono in mente i Dream Theater più morbidi), persino qualche sprazzo che potrebbe ricordare dei Tool alle prese con il rock melodico.
Nella biografia si parla del significato del titolo: il fuoco rappresenterebbe la carica del rock, mentre il blu ne sarebbe il contraltare, simbolizzando la componente melodica e le emozioni che il disco farebbe scaturire. Generalmente non cito mai ciò che viene scritto nelle biografie degli artisti che tratto, ma in questo caso mi pare che la definizione sia piuttosto azzeccata. C’è, in effetti, in tutti gli otto brani che compongono il disco, un’alternanza tra sognanti rilassatezze e momenti più accesi: e questo risulta essere il suo pregio maggiore. Peraltro stiamo parlando di un lavoro molto ragionato e, nonostante le molte influenze alle quali s’ispira, essenziale e senza fronzoli. Tutte le canzoni sono piuttosto brevi (la durata complessiva è di soli 35 minuti) e prive di inutili digressioni. Anzi, alle volte si ha l’impressione che qualcuna di esse sarebbe potuta durare di più, sfruttando così, in miglior modo, buoni spunti che troppo spesso vengono ridotti all’osso e lasciati subito cadere.
Tecnicamente Giancotti è ineccepibile nell’uso degli strumenti: in particolare maneggia con molta abilità la chitarra, sia elettrica sia acustica, e le parti migliori sono rintracciabili proprio nei lunghi assolo che ogni tanto piazza al termine delle composizioni. Meno incisiva risulta, invece, la sua voce, piuttosto monocorde, così come le parti di batteria, troppo piatte e prive di mordente (queste ultime affidate, però, ad un altro musicista). Tuttavia le sbavature meramente strumentali sono difetti minori rispetto a quello che penalizza maggiormente “A Blue Fire”: ossia una certa aridità di fondo, una ricerca spasmodica dell’equilibrio tra le varie componenti che finisce per spegnere proprio quelle emozioni che dovrebbe suscitare, se pensiamo ai suoi numi ispiratori.
Questa è la pecca principale, la nota dolente di un prodotto che altrimenti avrebbe tutte le carte in regola per impressionare chi è alla ricerca del lato più suadente ed intimista del rock.
Stefano Masnaghetti