Lulù – Improvisation I – Outsider – Certi Angoli Segreti – Interiors – Thank You, Come Again – Count Dracula – Luna Urbana – Improvisation II – Lady Orlando – Blancasnow
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Da qualche anno Enrico Rava è tornato ad incidere per ECM, etichetta sotto la quale erano usciti alcuni dei suoi episodi più memorabili; mi riferisco in particolare a “The Plot” (1976) e “Quartet” (1978), pietre miliari del jazz d’avanguardia. Tra le molte vie d’approccio al free, Rava optava per un interplay colemaniano, mitigato ed arricchito, però, da una buona dose di lirismo e di estetica latina (quest’ultima merito, probabilmente, del suo rapporto di lavoro e d’amicizia con Gato Barbieri). In ogni caso, questa rinnovata partnership è stata salutare per il trombettista, che in soli sei anni ha sfornato cinque dischi uno più bello dell’altro.
Compreso il qui presente “New York Days”, registrato in quintetto agli Avatar Studios nel febbraio del 2008. E che quintetto! Stefano Bollani al pianoforte, Mark Turner al sassofono tenore, Larry Grenadier al contrabbasso e Paul Motian alla batteria. Con questa formazione stellare Rava ha pensato di rispolverare alcuni suoi classici, e la scelta si è rivelata vincente; per usare un termine colloquiale, azzeccata al 100%. La nuova versione di “Lulù” riassume una carriera unica e ineguagliabile, che ha portato il Nostro ad essere il jazzista italiano più famoso nel mondo: incipit affidato a piano e batteria – magistrale il gioco di piatti – e poco dopo ecco la tromba del leader che presenta il lento e malinconico tema del pezzo; tema ripreso da Bollani, che da il là ad un altro assolo di Rava, fino a giungere al sax di Turner e all’intreccio finale tra i due strumenti a fiato. Durante i nove minuti e mezzo del brano, e specialmente nei soli di tromba, emergono prepotentemente le due stelle del jazz che più hanno contato nella vita del musicista italiano: Chet Baker e Miles Davis. Anche se ormai il linguaggio espressivo di Enrico ha saputo trasfigurare queste due influenze in qualcosa di personale e inconfondibile, da cui il plauso pressoché unanime che la sua arte riceve dalla critica, oltreché dai jazzofili più qualificati.
Ci sarebbero poi da citare altre rielaborazioni significative: “Outsider”, introdotto da un arpeggio di contrabbasso, impreziosito dal pianismo liquido e guizzante di Bollani, dilatato da una serie di escursioni dei musicisti nel free e nel bebop; oppure “Certi Angoli Segreti”, evocativa e discreta, esaltata dal dialogo tra tenore e tromba. Poi ancora moltissime perle: il post – bop swingante di “Thank You, Come Again”, sospeso tra il Davis di “Milestones” e il Coltrane di “My Favorite Things”, l’enigmatica e noir “Interiors”, le atmosfere mediterranee di “Luna Urbana”, l’impressionismo di “Blancasnow”, la breve miniatura libera di “Count Dracula”, che vive d’improvvisi cambi di registro. Tutte composizioni scritte da Rava, eccezion fatta per le due improvvisazioni collettive; nebulose, notturne, lacerate tra slancio lirico e urlo free. Ma l’album non presenta cali di tensione in nessuno dei suoi episodi.
Non vorrei sbilanciarmi oltremodo, ma “New York Days” rischia di diventare fin d’ora uno dei tasselli fondamentali nella carriera di Enrico, che tra poco compirà settant’anni – il 20 agosto di quest’anno – ma che non ha nessuna intenzione di abdicare alla sua posizione di jazzista tra i più sensibili a livello mondiale.
Stefano Masnaghetti