Muse – Con Alma – Vertigo – Lamidbar – Perpetua – Isobel – Joya – Lu yehi – Twins – And The Rain – Rina ballé
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Se c’è una cosa che la musica deve fare è parlare da sola, senza bisogno di inutili mediazioni. L’umile, umilissimo mestiere del critico consiste semplicemente nel dare qualche ‘chiave di lettura’ in più, gettare un po’ di chiarore negli angoli più oscuri di un’opera, sempre che ne valga pena.
In questo caso la musica si spiega davvero da sé, questo trio è freschissimo, pare un ruscello che scorre, in tutta naturalezza, attraverso i generi più diversi. Il flusso creativo di questo gruppo, composto da Yaron Herman (Tel Aviv, 1981 ma ormai francese d’adozione) al piano, da Matt Brewer al contrabbasso e da Gerald Cleaver alla batteria ci porta a visitare/rivisitare vari territori, sia quelli tipici del trio jazz ma anche spazi meno usuali, dalla musica colta, al blues, al pop.
Nel CD “Muse”, il trio si avvale anche di inserti di un quartetto d’archi (il “Quatuor Ebène” -due violini,viola e violoncello-) che accentuano il profilo ‘alto’ della musica proposta.
Difficile segnalare, tra le 11 tracce, le più interessanti, dato che si ha la sensazione di ascoltare un ‘continuum’ che sembra mosso da un autentico desiderio di esplorazione, che però non perde mai di spontaneità, e non spezza, neanche per un istante, quell’incantesimo che, nel jazz moderno, è sempre in equilibrio precario.
Particolarmente interessante la gillespiana “Con Alma”, come pure “Lu Yehi” -che è una canzone pacifista del 1973 scritta in ricordare dei soldati israeliani morti nella guerra del Kippur. Notevole anche “Isobel”, un brano di Bjork.
E’ sempre più difficile inventare qualcosa di nuovo; impossibile, quasi, farlo senza forzature, eppure il trio riesce nell’intento mettendoci sempre davanti ad un progetto di lungo respiro e non, semplicemente, ad un aggregato di un bravo pianista + un paio di virtuosi alla sezione ritmica (personalmente ho visto da poco Cleaver nel quartetto di Miroslav Vitous e mi ha colpito per la serietà e la disciplina del suo approccio alla complessa architettura musicale del grande contrabbassista praghese).
In un’intervista il nostro Yaron cita una frase, bellissima, di Ludwig Wittgenstein: “Se noi consideriamo l’eternità non come un tempo infinito ma come l’assenza di tempo allora chi vive il presente vive nell’eternità”.
Quanto bene funziona questo principio applicato all’arte dell’improvvisazione la quale realizza, sul nulla o quasi, la costruzione assai fragile della composizione in tempo reale, nel presente più presente, nell’ora, qui, subito. E’ un po’ come il poeta che si cimenta, dopo lo studio e il rigore delle molte regole della metrica, nel verso libero. Il più libero, e dunque, per definizione, il più difficile di tutti.
Marco Lorenzo Faustini