[Elettro/Pop/Trip Hop] Kiddycar – Sunlit Silence (2009)
Drop By Drop – You Save Me From Undersanding More – Shapeless Clocks – Il Fait Jour – Another Life – Shadow Butterfly – Hungry Sky Swings On The Deep – Paper Rose – C’est Drole – Your Last Hope – Purple Fish Wedding – Light Blue Sleep
www.kiddycar.it
www.myspace.com/kiddycar
Il silenzio di una stanza da letto, la luce che filtra da una persiana socchiusa, canzoni per addormentarsi e sognare mondi non troppo rassicuranti.
Questo sono i Kiddycar, questo è Sunlit Silence, loro nuovo album, scritto nel solco dell’innegabile bravura che li contraddistingue fin dalla loro prima uscita: ci sono gruppi che si guadagnano rispetto al terzo, quarto album, e quelli che, invece, stupiscono già al primo. I Kiddycar sono fra questi.
La loro musica, nelle nostre orecchie, è un sussurro che filtra, attraverso l’inquietudine, le suggestioni di tutti i giorni,è bella dalle prime note, densa, colta. La maggior parte dei pezzi è costruita sulle solidissime fondamenta gettate da Beth Gibbons dei Portishead e Sara Lov dei Devics, in bilico fra il Dream Pop e il Trip Hop, cominciando dall’iniziale Drop By Drop, chiusa da un theremin che sembra cantare, o dal capolavoro di arrangiamento che sono Another Life e Paper Rose, sempre pervase dal sottile filo di tensione che, per tutta la durata di questo album, ci tiene tesi in ascolto, stupiti.
Viene da chiedersi dove sia la fregatura: la fregatura è nei testi, che sono proprio bruttini: quelli in inglese muoiono fra metafore e descrizioni che suonerebbero più che banali in italiano, il francese pare più un vezzo che un’esigenza artistica, e, quando, alla penultima traccia, l’italiano fa finalmente capolino, non riesce a cancellare nessuna delle due brutte impressioni.
Peccato, perché, se simili perfette melodie fossero sorrette da testi di livello, avremmo di fronte un capolavoro, invece dobbiamo “accontentarci” di un album molto bello, molto particolare, cantato benissimo e suonato altrettanto, che però non riesce a dire quanto potrebbe, incollato ad un’improbabile voglia di descrizione che, francamente, nausea dopo due versi.
Francesca Stella Riva