[Cantautorato] Eels – End Times (2010)

 

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Le primavere sulle spalle di Mr. E iniziano ad essere parecchie; il traguardo dei cinquanta è sempre più vicino, e in quasi mezzo secolo di esistenza il musicista ne ha viste e provate di ogni sorta. Conosciamo tutti la sua saga, scandita da morti premature – quella del padre, genio della fisica ma figura lontana e spesso assente nella vita familiare degli Everett, e quella della madre, scomparsa in seguito a un cancro ai polmoni – e da tragedie vere e proprie – il suicidio della sorella Elisabeth. Oggi è tempo di nuove tribolazioni: il divorzio dalla moglie è recente e brucia ancora moltissimo.

Così Mark Oliver ha deciso di ritornare nello scantinato casalingo e sfogare la sua amarezza scrivendo una nuova manciata di canzoni. “End Times” è l’ennesimo album sofferto di una discografia che non lesina nulla in quanto a ferite esistenziali difficilmente rimarginabili. È anche quello più raccolto e spartano, in cui la dimensione della band non conta quasi nulla e tutto ruota intorno al leader degli Eels, ancor più che in passato. Sarebbe potuto tranquillamente uscire come disco solista.

Non son passati neppure otto mesi dall’uscita di “Hombre Lobo”, eppure molte cose son cambiate. Innanzitutto, il tasso di elettricità si è notevolmente ridotto: eccezion fatta per il blues rock di “Gone Man” e “Paradise Blues” e per la svelta “Unhinged”, il resto del disco vive di esilissime trame acustiche di folk contemporaneo, arricchite qua e là da tenui ricami di hammond, fiati e archi. Se poi il predecessore ruotava intorno al desiderio, “End Times” stempera questo sentimento nella malinconia per il tempo perduto, nel rimpianto per un amore finito bruscamente e dolorosamente, che precipita il protagonista in angoli bui e solitari (Little Bird), in attesa della ‘fine’ (“The world is ending/And what do I care/She’s gone/End times are here”, dalla title – track).  

Mr. E non è mai stato così vicino al concetto di ‘classicità cantautorale’ come in quest’opera. Continua a narrare i dissesti del suo spirito, ma adesso lo fa in modo diverso, più laconico e misurato. I tempi del dramma grottesco intinto di humor nero di “Electro Shock – Blues” paiono lontani, anche se l’impronta dell’autore continua ad essere riconoscibilissima.

“End Times” è una pubblicazione di grande spessore, annoverabile fra i suoi momenti più ispirati, con almeno due brani già in procinto di diventare classici: l’intensissima “Nowadays”, con intro affidato all’armonica e una delle migliori prove vocali del Nostro, e la delicatissima ballad pianistica “I Need A Mother”. Scaruffi afferma che “Everett è uno dei più grandi songwriters viventi”, e io non mi sento di dargli torto. Anzi, mi ritegno molto fortunato di aver la possibilità di ascoltare la sua musica e seguire la sua carriera passo dopo passo.

Stefano Masnaghetti

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