Deep Purple – I Day Milano Urban Festival (Rho), 30 agosto 2009

Deep Purple IDay 2009

 

Anche i fighetti finto alternativi col cravattino conoscono “Smoke On The Water”. Questo, in sintesi potrebbe essere il resoconto della serata dell’I-Day Festival resa “particolare” dallo scioglimento degli Oasis. Considerato comunque il carattere ed il cervello dei fratelli Gallagher, credo che vent’anni di attività possano considerarsi davvero un record assoluto.

Torniamo però alla serata. Arrivo tardi, sul finire dei Kasabian e mi irrito già nel vedere orde di ragazzi andarsene a casa dopo l’esibizione del gruppo. Mi appresto ad ascoltare con curiosità i Kooks, se non altro per il fatto di non averli mai sentiti dal vivo. Devo ammettere che i ragazzi ci sanno davvero fare e, col passare del tempo, in me si fa sempre più strada la convinzione di esser uno dei pochissimi ad aver preso il biglietto oggi, dopo la notizia shock della nottata. Infatti per me notizia migliore non poteva esserci: avrei dovuto aspettare dicembre per rivedere Gillan e soci e invece quei cialtroni di Manchester mi han fatto questo graditissimo regalo.

Lo show è lo stesso che i nostri stanno portando in giro da un anno. Non è un segreto che stiano registrando un nuovo album e quindi, per tenersi allenati per il prossimo tour di supporto, non perdono occasione per riproporre i vecchi classici uniti al meglio degli ultimi quindici anni. Gillan appare più stanco che in altre occasioni, forse perché queste date non erano esattamente programmate ma sono giunte un po’ improvvisamente. Questo però permette al gruppo di improvvisare come ai bei tempi, riproponendo ad esempio quella “Wring That Neck” che da tempo non capitava di ascoltare in Italia.

Quando il singer spara le proprie cartucce, però, lascia ancora il segno. “Highway Star” è fulminante, ma il pubblico poco avvezzo a certe sonorità non risponde a dovere. Dopo un paio di perle dall’ultimo album, arriva la sfilza di classici che, a lungo andare, sveglia persino il fighettume new wave: non le avranno mai sentite in vita propria, ma “Perfect Stranger”, “Space Truckin’” o “Hush” non lasciano scampo nemmeno tra i neofiti. Buona performance del gruppo nell’insieme, che in uno Ian Paice a livelli stratosferici trova il punto più alto della propria arte: sconvolgente anche a sessant’anni e da far vedere nelle scuole (anche quelle non musicali). Chiusura classica con l’acclamatissima “Smoke On The Water”, dove paiono tornare i Kooks e “Black Night” che fa andare avanti il coro anche una volta arrivati in metro. L’unico rammarico è l’esclusione dalla setlist di “Speed King”, compensata dalla presenza di “The Battle Rages On”, finalmente tornata in pianta stabile nello show e sempre devastante.

Luca Garrò

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