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Tornano tra noi i Lali Puna. Alfieri di quell’indietronica (condivisa con i Notwist) nata agli inizi degli anni zero in terra teutonica, anche grazie all’etichetta Morr Music (ancora qui presente come protagonista).
Sono passati un po’ d’anni. Facendo un rapido conto sono sei che la band non si fa sentire con un disco. Il precedente “Faking the books” (con un piccolo cambio di rotta più apertamente pop) non era stato qualitativamente all’altezza del precedente caposaldo “Scary World Theory”, perfetto ed ispirato connubio di elettronica e melodie dream pop. E forse allora pensavamo che il mezzo passo falso gli avesse spinti nell’oblio.
E invece eccoli qua. E bisogna dirlo, in forma smagliante. Nonostante non ci sia nulla di nuovo. Ma forse il segreto è rifare quello che gli veniva assolutametne bene. Tornare alle origini del loro suono riconoscibilissimo. C’è stato un momento in cui loro e i Notwist erano sul punto di sfondare davvero in alto, per la sinuosa proposta musicale, capaci di abbracciare gli ambiti degli indie rockers alternativi e quelli più flemmatici ed eleganti degli snob d’alto bordo che guardano alla moda hype.
Ma torniamo a noi. “Our inventions” tiene un livello alto, come dicevamo, senza sorprese di sorta. Ma anche senza cadute. Il disco ci culla con il suo connubio di gentilpop-tronico, sad-core da disorientamento emozionale, da Lost in un centro commerciale.
La musica è felpata, elegante, creata da synth ed elettronica mai invasiva, sognante, con la voce inconfondibilmente sussurrata di Valerie Trebeljahr a portarci per mano senza scossoni dalla prima all’ultima traccia.
Luca Freddi