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Grande talento quello degli inglesi Tunng, con il loro folk sporcato di elettronica e le sospensioni freak. Due ottimi dischi, “Comments Of The Inner Chorus” e “Good Arrows”, di caleidoscopica fantasia naturale.
Poi arriva questo “…And Then We Saw Land” dove dicono di vedere la terra.
E la terra in questione è una sorpresa per i fan. E’ un parziale cambiamento, un rimescolamento delle carte. L’attitudine è più semplice, più lineare. Oddio, brutto da dirsi. Più normale. Rinunciate voi alla freschezza? Sì. Volete essere più seriosi? Sì. Volete essere più accomodanti? Sì.
Bucolici e folk lo sono sempre. Ma adesso abbondano i colori pastello del pop e la sedia a dondolo del nonno.
Dai ragazzi facciamo qualche capriola, saltiamo nello stagno, aggrappiamoci ad un ramo? No. Ah, ok.
Cerchiamo di dimenticarci per un attimo della loro voglia di mutazione sonora e riascoltiamo tutto. Ma dopo due-tre brani gradevoli e godibili questa nuova serie di semplici canzonicine posate non sanno più di nulla. Puff. Sparita la magia che faceva di loro qualcosa di particolare.
Non sono da buttare nel bidone della monnezza. Le canzoni sono limpide e più calcolate, quindi meno spontaneità e più maturazione. Si dice così no? Si dice così quando hai fatto andare tutto bene, hai fatto quadrare tutto, ma poi, a ben vedere ti manca quel lampo negli occhi che avevi una volta.
Allora il loro mondo era una specie di isola di Waterworld naif in cui rifugiarsi? E perchè sono scappati da lì? E’ stata deriva o voglia di altre certezze “da grandi”? Lo scopriremo al prossimo disco.
Luca Freddi